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Un mostro vivo.

Nel primo blog (maggio ‘21), abbiamo tratteggiato alcune sette antiche, definite “gnostiche”. Intitolando l’opera Contro le Eresie (plurale), Ireneo (130-202 d.C.) lascia intendere che egli intravede in esse quegli ingredienti propri di ogni eresia:

“Queste sono le dottrine di questi tizi: da loro, è stata generata la bestia dalle molte teste, come un’idra di Lerna.”  (1.30.15).

Il mostro, decapitato ai suoi tempi, è purtroppo in grado di reinventarsi in forme odierne di fede che si definiscono “cristiane”, in cui il mondo è frutto dell’ignoranza divina. Il mondo fisico è l’infelice effusione di Dio, la secrezione esterna di un conflitto interno. Tale approccio, travestito da fede cristiana, finisce per eliminare qualunque rapporto tra “spirituale” e “materiale”. Gli scritti di Ireneo servono ancora.

Un credo mio.                  

Una caratteristica gnostica è quella del credo “personalizzato”. Al testo biblico, formalmente elogiato, ognuno impone una propria interpretazione personale. Il credo in questo modo cambia continuamente, e la tendenza di oggi al relativismo mostra così quanto siano antiche le sue radici! In questo Ireneo intuisce l’arroganza umana:

A partire da queste sette … si sono formate in seguito molteplici ramificazioni di un gran numero di eresie, per il fatto che molti tra loro, anzi tutti, vogliono essere maestri”. (1.28.1).

Alla radice di correnti cosiddette “cristiane”, vige un protagonismo personale, al quale Ireneo dà una risposta semplice: il Vangelo di Gesù si preserva nella Chiesa in una successione apostolica non fondata sul cosiddetto vicario di Cristo, bensì sulla formazione di esponenti di quella fede tramandata dagli apostoli. La verità annunciata al mondo passa per uomini approvati coralmente, che istruiscono chiese locali nelle Scritture. In altre parole, esiste una giusta “tradizione”, quella che consiste nel tramandare la fede mediante guide approvate per dottrina e condotta. Più che di oratori carismatici, la Chiesa dispone di una confessione inequivocabile (“cattolica” nel senso giusto), esposta da amministratori fedeli.

”La Chiesa, seminata per il mondo intero fino alle estremità della terra ricevette dagli apostoli e dai loro discepoli quella fede che professa un solo Dio Padre Onnipotente, che ha fatto il cielo e la terra e il mare e quanto è in essi; un solo Cristo Gesù, Figlio di Dio, che Si è incarnato per la nostra salvezza,; lo Spirito Santo, che per mezzo dei profeti annunziò l’economia di Dio.” (1.10.1).

Un mondo caotico.                     

Riguardo alla creazione, il pensiero gnostico crede che la realtà sia composta di strati: realtà fisica, psichica/animale e spirituale. Il creatore della terra, pensando di essere l’unico dio, ignora la sfera spirituale, infondendo involontariamente scintille spirituali nell’uomo creato alla sua immagine. In risposta a questa dottrina, Ireneo ribatte che gli Gnostici rinnegano Dio come Creatore di cieli e terra; ossia di realtà spirituali e materiali. Se il Dio degli Ebrei di Genesi 1 non è più l’infinito Sovrano del Nuovo Testamento (come insegnava Marcione), è ovvio che emergerà un mondo caotico di testi biblici scomposti e contradditori. Affermando invece la piena bontà del creato, Ireneo sostiene una posione ben diversa:

”Dio, che ha la peculiarità di non aver bisogno di alcuna cosa, ha creato…tutte le cose tramite il Suo Verbo.”  (2.2.4)

Nella ricchezza della Sua vita plurale, Egli avvia un progetto armonioso, mediante le instancabili “Mani” (la Parola e lo Spirito).

Fare ricapitolato.                       

Il medesimo Verbo ispira il testo biblico:

”le Scritture sono perfette, dato che sono state annunciate dal Verbo di Dio, e dal Suo Spirito”. (2.28.2).

Tuttavia è nel Figlio incarnato che prende forma il progetto di ricapitolazione, ispirato da Efesini 1:10 (il cosmo raccolto sotto la Signoria del Cristo). In sintesi, Ireneo vede in Lui l’ultimo Adamo, venuto a cancellare i mali causati dal primo. La storia cosmica è riassunta in questi due uomini, congiunti tra paralleli e paragoni. Difatti, l’incarnazione dell’eterno Figlio estende meravigliosamente il primo atto di creazione:

”Egli, a causa del Suo sovrabbondante amore per l’opera da Lui modellata, acconsentì ad essere generato dalla vergine, per unire, facendo Egli stesso da tramite, l’uomo a Dio”. (3.4.2).

Se la disubbidienza fatale del primo uomo avvenne mediante un albero, la croce dell’Ultimo diviene l’antidoto perfetto,

“Egli sanò quella disobbedienza che era avvenuta sul legno, per mezzo di quell’obbedienza…avvenuta sul legno”. (5.16.3).

Dato che Gesù viene crocifisso nel giorno precedente allo Shabbat, emerge anche un parallelismo nei giorni della settimana,

”Così il Signore, ricapitolando in Se stesso questo giorno, venne alla passione il giorno prima del sabato, che è il sesto giorno della creazione, il giorno in cui l’uomo fu plasmato”. (5.23.2).

Tutto questo al fine di perfezionare in noi l’immagine di Dio, quell’Immagine di Dio che Lui Stesso è sempre stato!

Un Uomo al centro.           

La ricapitolazione è centrata sul Cristo, dalla prima alla nuova creazione. Ireneo sapeva che se Dio odiasse la carne, se Egli sopportasse lo scisma tra materiale e spirituale, la salvezza diventerebbe impossibile. Chi nega l’incarnazione commette un suicidio spirituale, togliendo al cristiano ogni motivo per seguire Cristo fino alla morte!

Invece l’Uomo al centro del progetto divino, l’eterna Parola diventata carne, merita una piena dedizione. Mescolandosi alla propria opera, il Figlio si aggiudica il primato sopra ogni aspetto del creato:

Egli dunque … ricapitola in Sé tutte le cose, affinché, come il Verbo di Dio ha il primato sugli essere sopra-celesti, spirituali e invisibili, abbia anche il potere sugli esseri visibili e corporei; e affinché assumendo in Sé questo primato e ponendo Se Stesso come capo della Chiesa, attragga tutto a sé al momento opportuno”.  (3.16.6).

Il progetto originario di Dio pone un Uomo al centro. 

Un percorso maturo.          

Il percorso del secondo Adamo prevede una Sua effettiva crescita. Ireneo attribuisce a Gesù un ministero di oltre tre anni, poiché il Maestro non ha evitato nessuna fase della vita umana:

Egli infatti venne per salvare tutti gli uomini tramite Se stesso: tutti coloro che tramite Lui rinascono in Dio: neonati, bambini, adolescenti, giovani e adulti. Per questo è passato per tutte le età della vita…al fine di essere per ognuno il maestro perfetto”. (2.22.4).

Nel santificare ogni fase della vita, Gesù viene a capo della morte stessa, affinché diventi il Primogenito dai morti.

Un ritorno mai indietro.

La ricapitolazione non vede quindi il Cristo ricondurci al giardino. La salvezza è proiettata verso una perfezione futura; giacché Adamo ed Eva erano “bambini” nell’esercizio della fede. Da semplice modello di Colui che doveva venire (Rom 5:14), Adamo fu immagine della vera Immagine di Dio, che è sempre stato Gesù. Solo quando la realtà divenne carne, si aprì un futuro ripieno dello Spirito di Dio, per chiunque, creato alla Sua Immagine, creda in Lui.

In sintesi, l’uomo fu assoggettato alla morte, con una speranza! La metafora per eccellenza è quella di Giona inghiottito dal pesce: un uomo travolto dalla morte, prima di essere “risuscitato” il terzo giorno, per annunciare l’Eterno alle nazioni.

“Allo stesso modo, in principio Dio ha permesso che l’uomo fosse inghiottito dalla grande balena, quell’uomo che fu autore della trasgressione, non perché una volta inghiottito sparisse totalmente, ma perché Dio preparasse in anticipo un progetto di salvezza, che è stato portato a compimento dal Verbo, per mezzo del segno di Giona.” (4.20.1).

Affinché la vittoria apparente del Satana finisse a far risplendere ancora di più il primato di Cristo!


Questo articolo fa parte della serie Una così grande schiera di testimoni.

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