Lamentarsi è una moneta di scambio universale nel nostro mondo. Fornisce quasi sempre un punto di incontro anche nelle interazioni più casuali.
In cassa al supermercato? Sarà sufficiente brontolare per il freddo (o il caldo) che c’è stato di recente per stringere rapidamente un’alleanza con l’addetto alle vendite. Alle macchinette del caffè in ufficio? Basterà far notare quanto sia terribilmente leggero (o forte) il caffè per far annuire vigorosamente i colleghi. In ritardo a una festa? Mormorare sul traffico farà sì che ogni ospite in ascolto contribuirà con la sua lamentela sugli ingorghi stradali.
I tifosi si coalizzano contro gli arbitri per i loro errori, le madri stringono legami tra loro lamentandosi del prezzo elevato della spesa e i dipendenti si lamentano della qualità delle salviette di carta nel bagno dell’ufficio. Non c’è apparentemente nulla di cui non ci lamentiamo, e apparentemente nessuno che non si unisca a noi quando lo facciamo.
Da cristiani sappiamo che non dovremmo lamentarci. Ogni bambino della scuola domenicale può recitare la direttiva di Paolo: “Fate ogni cosa senza mormorii e senza dispute” (Fl 2:14).
Potremmo però non conoscere altrettanto bene il motivo per cui dovremmo essere contenti. Paolo prosegue nel suo comando con una motivazione sorprendente: “perché siate irreprensibili e integri, figli di Dio senza biasimo in mezzo a una generazione storta e perversa, nella quale risplendete come astri nel mondo” (Fl 2:14-15).
Dio vuole che smettiamo di lamentarci per amore dell’evangelizzazione.
Quando tutti si lamentano, l’unica persona a distinguersi è quella che non si lamenta. In un mondo in cui le lamentele riguardanti il meteo e lo stato delle strade sono all’ordine del giorno, un cristiano soddisfatto risplende di luce evangelica.
Quando tutti si lamentano, l’unica persona a distinguersi è quella che non si lamenta. In un mondo in cui le lamentele riguardanti il meteo e lo stato delle strade sono all’ordine del giorno, un cristiano soddisfatto risplende di luce evangelica.
Gesù ha detto “risplenda la vostra luce davanti agli uomini, affinché vedano le vostre buone opere e glorifichino il Padre vostro che è nei cieli” (Mt 5:16). Quando rifiutiamo di unirci al vittimismo d’ufficio, esaltiamo pubblicamente Cristo in almeno tre modi.
1. Testimoniamo che Dio è buono
La maggior parte di noi direbbe al suo prossimo che Dio è buono. Ma i nostri brontolii insoddisfatti sono una stridente contraddizione con ciò in cui diciamo di credere. Una lingua che viene usata sia per benedire che per maledire “non deve essere così”! (Gm 3:10).
L’appartenenza a Cristo cambia radicalmente il nostro modo di comprendere il mondo. Dal momento che sappiamo che Dio fa tutte le cose per il nostro bene e per la sua gloria (Rom 8:28), che siamo sicuri del suo amore per noi e della nostra unione con lui (Rom 8:38-39), e che ci è stato dato l’aiuto indispensabile del suo Spirito Santo (Fl 2:13), non siamo come i non credenti che mormorano intorno a noi.
Dio è buono sia che siamo ricchi o poveri, sazi o affamati, in vacanza o indebitati. Come redenti di Cristo, possiamo usare ogni circostanza come un’opportunità per proclamare la nostra fiducia incondizionata nell’immutabile bontà di Dio.
2. Testimoniamo una speranza incrollabile
Quando la moglie di Giobbe lo incoraggia a maledire Dio a causa delle prove nella sua vita, Giobbe risponde: “Abbiamo accettato il bene dalla mano di Dio, e rifiuteremmo di accettare il male?” (Gb 2:10). Con la sua risposta senza peccato, Giobbe testimonia alla moglie di avere fede nei propositi eterni di Dio, sia che le circostanze esteriori appaiano rosee o cupe.
Insieme ai nostri colleghi e amici non credenti, attraversiamo le stesse prove della vita quotidiana. Piove nel nostro fine settimana proprio come in quello di tutti gli altri. Ma, come figli di Dio, sappiamo che per Dio c’è un fine più grande in un temporale inaspettato.
Tutto ciò che accade nella nostra vita è disegnato da Dio allo scopo di renderci più simili a Cristo (Rom 8:28-30). Non dovrebbe sorprendere, quindi, che Pietro ci inviti ad esultare nelle prove (1 Pt 1:6). Relazioni incrinate, stress finanziario o malesseri fisici non sono certo piacevoli. Ma la nostra soddisfazione risiede nel fatto che Dio sta usando queste cose per fare un’opera inestimabile nelle nostre anime, qualcosa di molto più duraturo persino dell’oro.
Il nostro prossimo non credente potrebbe essere turbato dagli ostacoli e dalla politica, ma noi siamo al corrente di ciò che Dio sta facendo.
3. Testimoniamo una realtà più profonda
Se le nostre conversazioni con i non credenti vengono occupate dalle minuzie degli inconvenienti della vita, ci stiamo comportando come se questo mondo fosse tutto ciò che conta davvero. Non crediamo davvero che la lunga fila alle casse del supermercato sia la cosa più importante dell’universo, ma le nostre stridule lamentele sembrano raccontare una storia diversa.
Dovremmo invece cogliere ogni occasione per mostrare realtà spirituali più profonde e più durature. Immaginate che la vostra giornata tipo sia senza lamentele: niente mormorii sul tempo, niente brontolii sul capo o sui figli, niente sospiri per la frenesia delle vostre giornate. Per molti di noi l’assenza di lamentele significherebbe avere moltissimo tempo in più per conversare. E se lo usassimo per parlare di Cristo?
Fratelli e sorelle, smettiamo di lamentarci. Il “grande guadagno” di un animo contento del proprio stato (1 Tm 6:6) potrebbe essere la salvezza eterna del nostro prossimo.
Nota della redazione:
Questo articolo è tratto dal nuovo libro di Megan Hill, Contentment: Seeing God’s Goodness (P&R, 2018), un devozionale di 31 giorni per i cristiani che cercano di coltivare la soddisfazione.
Articolo apparso originariamente in lingua inglese su The Gospel Coalition (USA)