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Perché avere un tempo di meditazione personale con Dio?

Recentemente ho letto “Perché non prego e non studio la Bibbia (molto)“, un post di Ellen Painter Dollar sul blog Patheos (un blog nord americano che raccoglie informazioni su varie religioni e opinioni da vari autori con diversi credi religiosi N.d.R.). L’autrice racconta come il periodo trascorso in una comunità universitaria evangelica sia stata la sua prima esposizione alla disciplina della lettura quotidiana della Bibbia e della preghiera. “Come ha spiegato un amico in una conferenza”, scrive Dollar, “se vuoi avere un buon rapporto con qualcuno, trascorri del tempo con quella persona. Allo stesso modo, se vuoi avere un rapporto con Dio, devi passare del tempo con Dio, e il ‘tempo di meditazione personale’ è il modo in cui lo fai”.

Dollar respinge l’idea di costruire un rapporto con Dio attraverso la preghiera personale apposita e la lettura della Bibbia. “Penso che il mio compagno di università avesse ragione, che ci avviciniamo a Dio essendo intenzionali nella nostra relazione con Dio. Ma non sono così sicura che 30 o 60 minuti di preghiera e studio della Bibbia siano l’unico o il modo principale per farlo” scrive. Poi spiega come, nelle relazioni umane, l’intimità si costruisca attraverso esperienze di vita condivise (e spesso ordinarie), e difende la propria abitudine di semplicemente sperimentare la comunione con Dio durante la giornata, nelle situazioni normali della sua vita.

Una parte dello scetticismo di Dollar nei confronti della preghiera e dello studio delle Scritture deriva dalle sue ipotesi di base sulla natura di entrambi. Credo che la Bibbia sia la verità completa, la perfetta rivelazione di Dio di se stesso ed essenziale per la vita e pietà di un cristiano. Allo stesso modo, ho un’alta considerazione della preghiera come uno dei mezzi principali di Dio per la comunione con i suoi figli, per glorificare se stesso e per realizzare i suoi scopi.

Dollar probabilmente riconoscerebbe il disaccordo teologico con me su questi punti. Ma credo che anche tra i cristiani teologicamente conservatori la priorità di un’adorazione personale regolare non sia ben compresa. Un recente sondaggio nazionale (sondaggio negli USA del 2014 N.d.R) ha rilevato che, sebbene il 56% degli americani creda che la Bibbia sia “la vera o ispirata parola di Dio”, solo il 37% la legge almeno una volta alla settimana. E i momenti quotidiani di studio individuale della Bibbia e di preghiera (ciò che la Confessione di Westminster chiama “adorazione … in segreto” e che Dollar chiama “tempo di meditazione personale” e che io sono cresciuta chiamando “devozionali”) sono talvolta scetticamente considerati come legalistici o come un potenziale idolo anche da fratelli e sorelle riformati.

Pur affermando l’intera vita come adorazione e proclamando il primato dell’adorazione collettiva, a volte trascuriamo di spingere noi stessi e gli altri all’adorazione privata quotidiana.

Il racconto di Dollar rivela come una comune argomentazione evangelica (“Se ami qualcuno vuoi passare del tempo con lui”) possa essere inadeguata. E ho colto le sue parole come un’opportunità per considerare una spiegazione migliore da dare agli altri e da predicare a me stessa.

Quindi, perché dovremmo studiare la Bibbia e pregare come un evento apposito e quotidiano?

(1) Dio lo comanda

No, la Bibbia non contiene il capitolo e il versetto “Devi avere 45 minuti di devozione al giorno”. Ma la Bibbia è piena di espliciti imperativi a pregare e di incentivi a meditare le Scritture.

Ci viene comandato di pregare senza sosta (1 Tess. 5:17), di vincere l’ansia con la preghiera (Fil. 4:6), di intercedere per gli altri cristiani (Ef. 6:18) e di ricevere incoraggiamento da Colui che prega per noi (Eb. 7:25). A proposito delle Scritture, Dio ci dice che sono dolci, preziose e necessarie per la saggezza (Salmo 19); che sono il giusto oggetto della nostra meditazione (Salmo 119); che contengono ogni verità di cui un cristiano ha bisogno (2 Tim. 3:16-17); e che sono un potente strumento spirituale (Eb. 4:12). Ci dedichiamo alla preghiera e allo studio della Bibbia perché tramite queste attività obbediamo al Signore e portiamo beneficio alla nostra anima.

Gran parte di questo beneficio, ovviamente, arriva ai cristiani attraverso la nostra disciplina spirituale più importante: l’adorazione di Dio da parte del suo popolo riunito nel Giorno del Signore. (Concordo con Dollar sul fatto che le devozioni personali non sono il modo “unico o primario” per avvicinarsi a Dio; la Confessione di Westminster sostiene che il culto pubblico è più solenne e doveroso del culto segreto). Ma una vita improntata sulla Scrittura e sulla preghiera includerà necessariamente anche tempi specifici di meditazione personale.

(2) Siamo deboli.

In questi giorni i miei figli stanno imparando dal catechismo riguardo i tre uffici di Cristo (profeta, sacerdote e re). Una delle domande chiede: “Perché avete bisogno di Cristo come profeta?”. La risposta vale tanto per i 35enni quanto per i bambini di 5 anni: “Perché sono ignorante per natura”. Non nasciamo con la conoscenza di Dio su cui fare affidamento.

Come scrive Jen Wilkin nel suo libro, Donne della Parola, “Come possiamo conformarci all’immagine di un Dio che non abbiamo visto?”. Mi piacerebbe vivere le mie giornate testimoniando della mano di Dio in ogni momento della vita quotidiana, lodandolo per ogni benedizione dal suo trono. Ma la verità è che sono ignorante. Non so nemmeno cosa cercare, come rintracciare la provvidenziale gentilezza di mio Padre sulla mia agenda, o dove aspettarmi il suo cipiglio o il suo sorriso. Sebbene Dio sia certamente presente nelle mie liste di cose da fare e nelle mie interazioni con i miei figli, si rivela al meglio attraverso il mezzo che ha scelto: la Bibbia. E se non ho nascosto la sua Parola nel mio cuore, se non ho meditato su Cristo, il mio profeta, colui che è la Parola incarnata, passerò le ore vedendo sempre ma senza mai capire.

Mi piacerebbe anche trascorrere i miei giorni in comunione con il Padre che mi ascolta, facendo di ogni respiro una preghiera espirata. Ma, ancora una volta, sono debole. Se non mi dedico a momenti di preghiera (e rabbrividisco al pensiero di quanto spesso non lo faccia) dimentico di dipendere da realtà spirituali in mezzo a realtà temporali. Come dice l’inno: “Incline a vagare, Signore, lo sento. Incline a lasciare il Dio che amo”. Prego e leggo la mia Bibbia perché senza di essa il mio cuore, la mia anima, la mia mente e la mia forza si immergeranno sempre nel visibile e dimenticheranno completamente Colui che è invisibile.

(3) Gesù lo faceva.

È in questo esempio che vediamo al meglio la verità dell’argomento relazione nelle meditazioni personali. Nel suo eccellente libro Il Dio d’amore, Michael Reeves scrive: “La vita cristiana consiste nel condividere la gioia che il Padre, il Figlio e lo Spirito hanno l’uno per l’altro”.

Gesù ha un amore perfetto per il Padre e lo Spirito e una perfetta unione con loro. Se c’è qualcuno che avrebbe potuto praticare una relazione con il Padre semplicemente riconoscendolo durante la giornata, quello sarebbe stato Gesù. Ma come ha fatto lui, il Dio-Uomo, a dimostrare esteriormente il suo amore per le persone della Divinità e il suo desiderio di relazione trinitaria mentre viveva sulla terra?

Pregava e leggeva la Bibbia.

Il ritiro di Gesù dalla folla per la preghiera privata è esplicito in tutti i Vangeli (Matteo 26:36, Marco 1:35, Luca 9:18). Ed è evidente dalla predicazione e dall’insegnamento di Gesù (Luca 4:16-27) che egli conosceva tutte le Scritture in un modo che poteva derivare solo da uno studio apposito.

Se Gesù ha espresso e vissuto il suo rapporto con il Padre attraverso un “tempo di meditazione personale”, se Colui che era, di fatto, eternamente uno con Dio si prendeva ancora del tempo intenzionale per la preghiera personale e lo studio della Bibbia, faremmo bene a seguire il suo modello. Perché sì, se si ama qualcuno, si vuole passare del tempo con lui.


Articolo apparso originariamente in lingua inglese su The Gospel Coalition.

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