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Si è detto nel primo articolo che il Libro dei Salmi è il più citato delle antiche Scritture nel Nuovo Testamento. E se il nostro approccio ai Salmi è tendenzialmente riduttivo, trattando il libro come se non avesse un suo ordine interno, si è ribadito quanto sia importante percepire nei cinque libri l’antico innario della Chiesa di Dio, formulato per condurre Israele nelle lodi di Jhvé. Per la gamma di emozioni riscontrate nell’antologia, permane il senso che negli alti e bassi della vita, il popolo di Dio sa muoversi sempre verso le lodi del Suo Salvatore!

Per questo sarebbe errato ritrovare il cuore dei Salmi principalmente nella mia esperienza. Quanto più nella storia del popolo collettivo di Dio, ancorato nelle promesse del patto. In tal senso, i Salmi danno pure voce alla Figura del Re, scelto Messia del Signore – Colui che esemplifica la vocazione d’Israele; vivendola in prima persona, compiendola a favore dell’intero popolo. In parole povere, accostarsi al libro dei Salmi invita a chiederci “dov’è Cristo nei Salmi?”

Il primo articolo ha trattato le esposizioni del Prof. Carson relativi ai Salmi 2 e 40. Questo invece ritorna alle altre due dedicate ai Salmi 73 e 110. In che modo entrambi aprono una prospettiva che conduce a Gesù? Diventando in Lui Scritture pertinenti a noi? Il Salmo 2 inquadra perfettamente la Sua vittoria, esortandoci a festeggiarla nell’atto di “baciare il Figlio”. E il Salmo 40, canto di lode gioiosa per il Dio che soccorre chi Lo cerca, tratteggia nelle parole dei vv. 9-10 la figura del futuro Figlio di Davide, Colui ad imparare supremamente la via di ubbidienza al Suo Padre, così adoperando la piena salvezza dei Suoi.

 

In parole povere, accostarsi al libro dei Salmi invita a chiederci dov’è Cristo nei Salmi?

Che cosa troviamo invece nel Salmo 73? Troviamo un tono ben diverso, privo di riferimenti palesi al Cristo. Eppure le tematiche sollevate, già tratte in libri quali Giobbe Abacuc e Geremia, hanno fortissimi richiami nel Nuovo Testamento. I “puri di cuore”, fissati sulle vie dell’Eterno senza doppiezza di vita, sanno aggrapparsi alla benevolenza del Dio del patto, vv. 1, 28. Eppure dall’inizio alla fine possono emergere tanti dubbi; definiti dal Prof. Carson “profili di amarezza” (vv. 2-14). Essi minano di compromettere insanabilmente il percorso spirituale di Asaf; conduttore delle lodi di Dio adesso concentrato su di sé (vv. 2-3, 13-14), quando paragona la propria vita sfavorevolmente ai “successi” altrui (vv. 4-12). La confessione di piedi quasi inciampati parla del peccato d’invidia; nel momento in cui il salmista non vede afflizioni nella via dei “prepotenti”; soltanto l’ammirazione di un largo pubblico. Sono uomini a comportarsi da atei, privati del timore di Dio, suscitando in Asaf un’invidia nascosta dietro una posizione esteriormente ortodossa, v. 15. Tutto questo prima di ritrovare una visione incentrata su Dio, vv. 15-17; in cui i criteri mondani vengono ridimensionati, alla luce di un’eternità che presso la dimora di Dio ricorda il fatto che Jhvé alla fine VINCE! E piuttosto d’invidiare tali persone, sarebbe giusto provarne forte simpatia; per la temporaneità delle loro ricchezze, vv. 19-20; incomparabili in confronto al deliziarsi di Dio, vv. 23-26. A conti fatti esse condanneranno chi ci confida. Mentre l’opera di Dio per i Suoi rimane salda, preannunciando nelle certezze di fede le promesse totalizzanti di Romani 8:28-30. Per chi attraversa acque profonde, Il salmo 73 stabilizza: nel modo in cui presenta il peccato e la salvezza, così come Gesù Stesso farà (Matteo 6:19-24). Giusto chiederci, chi è il nostro reale Padrone?

Il Salmo 110 invece è di un’altra pasta. Salmo a ricordare un personaggio misterioso del passato: la figura di Melchisedec. Pertanto Salmo da leggere su quattro orizzonti, a partire da Genesi 14, passando per il salmo stesso, per vederlo commentato in Ebrei 7, prima di giungere a noi in Cristo. Un salmo fortemente Messianico, per come il re Davide collega la sua vocazione a quella precedente di Melchisedec. Commenta il Prof. Carson come l’incontro originario con Abramo (Gen 14:18-20) “interrompe” esplicitamente la narrazione del capitolo. L‘intrusione attira l’attenzione; c’è qualcosa di speciale ed unico in questo incontro tra il padre della fede e il misterioso sacerdote-re. Ed è proprio in Melchisedec che ritroviamo tanti elementi a ricomporsi in Cristo: uomo senza genealogia specificata, adoratore del vero Dio in un mondo politeista, incarnando in sé la duplice vocazione di sacerdote e re, per cui Abramo l’erede delle promesse pattizie esprime grande riverenza.

Ritornando quindi al Salmo 110, vediamo come il Messia Davide riconosce il suo Signore (Athonai). Nel salmo composto da un primo oracolo del Re vittorioso v. 1, elaborato nel commentario, vv. 2-3. Seguito da un secondo oracolo del Sacerdote v. 4, elaborato nel commentario, vv. 5-7. Sono due oracoli ad esporre il duplice ministero della figura misteriosa di Melchisedec, meditata anni dopo da Davide. E dato che egli nasce dalla tribù di Giuda, Davide comincia a concepire un sacerdozio futuro sconnesso da Levi. Prevedendo un futuro in cui pure il Messia ricoprirà una vocazione sacerdotale.

E in tale chiave ci apriamo ai numerosi riferimenti neotestamentari del Salmo 110, notevolmente nei libri di Atti ed Ebrei. Gesù di Nazaret è Messia più grande di Davide (Atti 2:34), più grande degli angeli (Eb 1:13), esaltato alla destra di Dio (Atti 5:30-31), luogo dal quale intercede per noi (Atti 5:31, Rom 8:34). Egli Stesso Si è seduto nei cieli, in virtù del Suo sacrificio completo (Ebr 10:2), in attesa della sconfitta totale dei Suoi nemici. Proprio in Cristo vediamo, come in anteprima in Melchisedec, quanto il sacerdozio eterno divinamente stabilito non fu quello Levitico, bensì uno compiuto nella croce, risurrezione ed ascensione del nostro incomparabile Sommo Sacerdote!

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