×

Un libro

Avendo presentato l’idra gnostica, nemico mostruoso dal quale nasce ogni eresia (maggio ‘21), il teologo Ireneo la trafigge con lancia affilata della “ricapitolazione” (giugno ’21): presentando la storia umana dal primo all’ultimo Adamo. Questo terzo articolo esplora il suo approccio alle Scritture. Le dottrine gnostiche, proliferando come funghi spuntati dalla terra, hanno la pretesa di crescere dal buon terreno biblico. Tuttavia sono insegnamenti discordanti. Ireneo risponde celebrando convintamente l’unità della fede: esiste un unico Dio, insieme alla Sua eterna Parola, nello Spirito; Egli trasmette un’unica verità, all’unica Chiesa, per via di una Parola essenzialmente una. Mentre l’approccio gnostico maneggia le Scritture, come se fossero semplici tasselli di un mosaico senza disegno unitario, ‘tramutando una cosa in un’altra, seducono molti con quello che è solo una sembianza mal assortita di brani, tratti dai discorsi del Signore’. (3.8.1)

Un principio

Così presto troviamo in Ireneo una premessa cara alla Riforma: la Scrittura divinamente ispirata s’interpreta internamente. Prevale un principio regolatore inerente al testo. La Bibbia si legge in chiave olistica, con testi difficili illuminati da altri evidenti. Nessuna conoscenza esterna, presunta tradizione orale, nasconde il vero significato. La lente interpretativa non s’impone da fuori. Non esistono interpretazioni allegoriche, realtà nascoste, percepibili solo agli illuminati, senza controlli interpretativi. Il testo biblico non sancisce ogni speculazione. L’ossessione gnostica dedicata a sorreggere una “realtà nascosta”, Ireneo la considera una semplice arroganza gonfiata. La parola invece è interpretabile da ogni credente; poiché Dio Si fa conoscere da chi Lo cerca umilmente, ‘Sarebbe meglio non cercare niente da sapere, se non Gesù Cristo, Figlio di Dio, che è stato crocifisso per noi, che gettarsi nella sottigliezza delle ricerche, a tal punto da cadere, tramite questa, nella negazione di Dio”. (2.26.1)

Un disegno

L’approccio gnostico al testo ritrova solitamente nel Dio della Legge e dei Profeti l’Autore di grande malvagità, in netto contrasto con Gesù. La scissione tra l’Antico e il Nuovo Testamento non è tanto contemporaneo! Come se Gesù venisse per abolire Profeti e Legge, invece di portarli a compimento (Matteo 5:17).

Ireneo presenta, di contro, una lettura rigorosamente Cristocentrica. In primis, le Scritture nascono dalla vita plurale di Dio, “le Scritture sono perfette, dato che sono state annunciate dal Verbo di Dio, e dal Suo Spirito”. (4.28.2)

Peraltro ogni generazione trova Cristo solo mediante i profeti ed apostoli. Non esiste modo di accedere, se non per questi scritti, interamente coerenti. A differenza delle divisioni fra testamenti, Ireneo argomenta che l’unico Dio pianifica ogni dettaglio del progetto grandioso mediante la Sua Parola. Esiste solo un Dio, una parola, un disegno; riconducibile al Figlio. Il che significa che entrambi i testamenti hanno il medesimo scopo: annunciare Cristo, “La Legge non impediva loro di credere nel Figlio di Dio; anzi li esortava, dicendo che non c’era altro modo in cui potevano essere salvati dall’antica maledizione del serpente, se non credevano in Colui che, innalzato da terra a somiglianza della carne del peccato, sul legno del martirio, ha tratto a Sé tutte le cose”. (4.2.5)

I credenti veterotestamentari condividono la stessa fede; conoscendo il Padre mediante lo Spirito, anticiparono l’arrivo del Figlio. La Parola parlava con Mosè; così come parlava con profeti e patriarchi, annunciando la futura salvezza che Egli stesso avrebbe attuata. Quando l’etiope leggeva Isaia in carrozza (Atti 8), “non mancava più niente a costui, che era già stato catechizzato in anticipo dai Profeti” (4.23.2). Gesù Stesso annuncia la sufficienza della parola data da Mosè (Giov 5:46-47, Luca 16:29). Bastava ubbidirle per credere al Figlio, risuscitato dai morti. L’unico aspetto “nuovo”, sconosciuto ai patriarchi, era il momento in cui la Parola Si sarebbe incarnata.

Un movimento

La fede degli antenati è in sostanza la medesima nostra. Abramo difatti non sperimenta la promessa eredità, ”Lui credette alle cose future come se fossero già compiute…anche noi allo stesso modo, per mezzo della fede, possiamo scorgere quell’eredità che è nel Regno, a causa della promessa di Dio.” (4.21.1).

A chi rinnega la vita oltre la morte, Gesù conferma che Dio ha già reso i patriarchi figli della risurrezione (Mat 22:29-32). Come Abramo lasciò ogni legame terreno per seguire il Verbo, “giustamente anche noi, che abbiamo ricevuto la stessa fede che professava Abramo, prendendo la nostra croce come Isacco prese la legna, lo seguiamo” (4.5.4).

Tale prospettiva non nega nel piano salvifico un voluto passaggio dal minore al maggiore. La Chiesa raccoglie la parola seminata da patriarchi e profeti, affinché seminatore e mietitore gioiscano insieme nel Regno futuro. La Legge delinea cose eterne per mezzo delle temporali (tabernacolo e sacrifici). La Parola parla con l’amico Mosè (Num 12:8). È presente con i Suoi nella fornace, preservandoli dal fuoco (Dan 3). Ella fu vista dai Profeti non solo in visioni e parole, ma in atti prefigurando eventi futuri. Così si articola una crescente perfezione lungo la storia biblica, fino alla venuta da uomo di Colui più grande del tempio, “Egli si era manifestato agli uomini, come Dio aveva voluto, affinché coloro che credevano in Lui potessero progredire sempre e, per mezzo dei testamenti, crescere fino all’ottenimento dello salvezza.” (4.9.3). 

Un Verbo

Occorre notare come in tutto ciò il Figlio rimane l’eterna rivelazione del Padre. Il pensiero gnostico, mantenendo che il Padre supremo fosse sconosciuto prima della venuta di Cristo, scinde violentemente i due testamenti. In base a Matteo 11:27, Ireneo replica che il Viso del Padre è sempre stato il Figlio, già prima di un’incarnazione volta ad essere il punto focale della rivelazione. “Tutti coloro che, dal principio, acquisirono la conoscenza di Dio e profetizzarono la venuta del Cristo, ricevettero la rivelazione dal Figlio Stesso; Egli che, negli ultimi tempi, Si è fatto visibile e palpabile” (4.7). 

Un tempo

Gesù è venuto per tutti coloro che “hanno desiderato di vedere il Cristo e di ascoltare la Sua voce,” 4.22.2. Adesso nel nuovo Adamo, essi si ritrovano vivificati. Il Suo arrivo da uomo giunge nel momento opportuno, nella “pienezza dei tempi” (Gal 4:4). Certo la venuta del Verbo fatto carne non abroga il passato, bensì estende e compie le istruzioni della Legge date prima (Gesù evidenzia le motivazioni interne del cuore, Mat 5:21-48). Il passato non viene capovolto. Adesso non basta astenerci da atti malvagi, ma persino dai desideri. Nell’atto di liberarci, la Parola dona libertà a servire Dio senza limiti, affinché l’ubbidienza dovuta al Padrone di casa sia resa non da servi ma figli! Figli che possiedono maggiore certezza, una libertà più gloriosa. ”Quindi, tutti i precetti naturali sono comuni per noi e per loro: in loro hanno avuto il principio e l’origine, e in noi hanno ricevuto la crescita e il compimento.” (4.13.4)

Un impegno

L’intera Scrittura serve da parola unica alla Chiesa, inducendo una giusta umiltà. Privi di essa, siamo destituiti della conoscenza dell’Eterno. Tale Parola è interamente sufficiente, ”affinché Dio in ogni tempo insegni, e l’uomo in ogni tempo sia il discepolo di Dio” (4.28.3).

Così Ireneo dà prova che la predicazione cristiana, ovunque sia, afferma la testimonianza di profeti ed apostoli. Nelle Scritture fedelmente esposte, lo Spirito preserva la fede storica dentro la Chiesa. ”Coloro che non prendono parte a esso, non sono nutriti nella vita dalle mammelle della madre, non hanno parte alla fonte limpidissima che fuoriesce dal corpo di Cristo, ma si scavano cisterne screpolate in fosse di terra, e bevono acqua putrida dal fango”. (3.24.2) Chiunque invece confessa questo Dio, studiando le Scritture insieme alla Chiesa, è vero discepolo di Cristo.

Most Read

CARICA ANCORA
Loading