Quando sono in fila per ordinare da bere in una caffetteria, il mio istinto automatico è prendere in mano il telefono. Non per fare qualcosa di necessario, ovviamente; solo per scrollare senza scopo per un minuto o due prima che arrivi il mio turno. Magari riesco a dare un’occhiata a qualche tweet, a un titolo di giornale o a una storia su Instagram.
È lo stesso impulso che mi porta a prendere il telefono appena mi sveglio al mattino, subito prima di andare a dormire la sera, e durante la giornata ogni volta che mi trovo tra un’attività e l’altra. A volte mi ritrovo a controllare un’app nei circa 20 secondi che impiego per passare da un punto all’altro della mia casa. In nessuno di questi casi ho una vera motivazione o un bisogno preciso. È solo un’abitudine che ho sviluppato gradualmente, come la maggior parte di noi nell’era degli smartphone: un inquietante riflesso pavloviano che ci spinge a riempire ogni momento libero della vita con qualche forma di “contenuto” multimediale.
Più prendo coscienza di questa abitudine spesso inconscia, più mi inquieta. Il problema principale non è che ciò che trovo in quei brevi scroll sia per lo più frivolo (anche se lo è, senza dubbio). Il problema principale è che l’eliminazione di ogni ultimo frammento di spazio non multimediale nella nostra vita ci rende stolti.
Per diventare saggi, abbiamo bisogno di vuoti nelle nostre giornate; tempo per pensare; spazio per rielaborare; momenti di quiete; pause mentali. Eppure l’era dello smartphone sta rapidamente cancellando tutto questo, invitandoci a riempire ogni secondo libero della nostra esistenza con qualcosa. Clicca qui! Guarda questo! Ascolta questo podcast! Gli algoritmi sono progettati per catturare la nostra attenzione non solo in parte, ma completamente. E ci stanno rendendo degli stolti.
Gli algoritmi sono progettati per catturare la nostra attenzione non solo in parte, ma completamente. E ci stanno rendendo degli stolti.
Ecco una piccola cosa che tutti possiamo fare per diventare un po’ più saggi: ritagliarci uno spazio — qualsiasi spazio — per rimanere in silenzio, fermi, e senza mediazioni, invece di lasciare che ogni centimetro della nostra attenzione venga colonizzato dai contenuti.
Abbiamo paura della quiete
Gli algoritmi di internet non fanno altro che sfruttare una dinamica della nostra condizione decaduta, una realtà che affligge l’umanità da sempre: odiamo la quiete. Siamo irrequieti e agitati, mai davvero presenti nel momento. C’è sempre qualcosa di produttivo che dovremmo fare, giusto?
Blaise Pascal, nei suoi Pensieri, ragiona sul motivo per cui riempiamo la nostra mente di passato e futuro, ma raramente ci prendiamo il tempo per fermarci nel presente:
Siamo così poco saggi da vagare in tempi che non ci appartengono, senza pensare a quello in cui viviamo; così vani da sognare tempi che non esistono e fuggire ciecamente da l’unico che conosciamo. La verità è che il presente, di solito, fa male. Lo scacciamo dalla vista perché ci turba, e se lo troviamo piacevole, ci dispiace vederlo scivolare via.
Perché la quiete nel tempo presente è così stressante? Forse il silenzio ci destabilizza perché il costante ronzio del rumore ci distrae da realtà (come la morte) che preferiremmo non affrontare. Qualunque sia la ragione, la nostra avversione alla quiete non giova alla nostra crescita spirituale né allo sviluppo della saggezza.
Torno spesso al Salmo 46 per ancorarmi alla sovranità immutabile di Dio in tempi incerti. Il versetto 10 contiene una delle mie frasi preferite delle Scritture: “Fermatevi e riconoscete che io sono Dio.” Essere fermi — interrompere il continuo affanno, il rumore frenetico e la distrazione — è fondamentalmente legato alla conoscenza. Fermati. E poi? Conosci Dio. Solo nella quiete possiamo iniziare a comprendere il potere rinvigorente e la santità di Dio. E questa consapevolezza, che ci lascia senza parole e pieni di stupore, è l’inizio della saggezza (Proverbi 9:10).
Oggi la stoltezza è dilagante, in parte perché raramente restiamo abbastanza fermi da sperimentare la quiete. E la quiete è un prerequisito della saggezza.
Fissare i muri
Nel suo utile libro The Common Rule, Justin Earley suggerisce che i nostri momenti liberi non dovrebbero essere riempiti con vagabondaggi online senza meta, ma piuttosto “riservati a fissare i muri, che è infinitamente più utile.”
Fissare i muri è difficile, ma provaci. Lo spazio non multimediale e la quiete silenziosa sono estremamente gratificanti. Ma entrambi richiedono disciplina. Dobbiamo essere intenzionali nello scegliere il silenzio e la quiete in un’epoca rumorosa e irrequieta. C’è sempre un altro video da guardare, un articolo da leggere, un podcast da ascoltare, un libro da iniziare. Queste cose possono essere utili per la nostra saggezza? Certamente! Ma non quando passiamo ininterrottamente da un contenuto all’altro, senza concedere alla nostra anima delle pause per metabolizzare ciò che abbiamo assorbito, affinché diventi nutrimento. Mangiare cibo da fast food in continuazione durante la giornata ti farebbe star male. E lo stesso accade quando si consuma informazione senza sosta.
Oggi la stoltezza è dilagante anche perché raramente ci fermiamo abbastanza da sperimentare la quiete. E la quiete è un prerequisito della saggezza.
Non è che le nostre motivazioni siano sempre sbagliate. La tendenza protestante evangelica a voler “redimere il tempo” ottimizzando ogni minuto è comprensibile. Le ore in una giornata sono poche, e c’è ancora tanto da imparare. Possiamo quindi giustificare la “golosità di contenuti” in nome di desideri nobili: crescere, essere equipaggiati, informati, preparati. Ma sì, esiste anche il “troppo” di una cosa buona. Anche un buffet dei cibi biologici più sani del mondo ti farebbe star male, se continui a riempirti il piatto troppe volte. Lo stesso vale per l’inimmaginabile “buffet di contenuti” che è internet. Ci sta facendo ammalare, come spiego nel primo capitolo (La Gola d’Informazione) del mio nuovo libro, La dieta della saggezza.
Perchè non sono un grande ascoltatore di podcast
Ecco perché non ascolto molti podcast. Non ho nulla contro i podcast come forma — come ogni cosa, possono essere ottimi o terribili. È solo che, tra gli altri tipi di contenuto a cui do priorità (principalmente libri, film e musica), mi restano solo pochi momenti “intermedi” durante la giornata in cui potrei infilare un podcast. Uno di questi è mentre guido. Ma per me, guidare è uno dei pochi momenti in cui posso pensare. Potrei ascoltare un podcast mentre lavo i piatti o faccio qualche altra faccenda domestica — oppure potrei usare quel tempo prezioso per riflettere o pregare su tutto ciò che già mi gira per la testa. Quando curo il giardino o faccio una passeggiata all’aperto, potrei ascoltare un podcast pieno di contenuti stimolanti. Oppure potrei semplicemente nutrire la mia anima con la stimolazione sensoriale della creazione di Dio — l’aria che soffia, il canto degli uccelli, i profumi della California del Sud: agrumi, salsedine e gelsomino.
Non sto dicendo che dovresti smettere di ascoltare podcast. Sto suggerendo che potresti rinunciare a qualcosa per creare dello spazio vuoto nella tua vita.
Riconosci che la quiete è vitale per la tua salute spirituale in un’epoca sovrastimolata, anche se significa perdere qualche contenuto di qualità.
Articolo apparso originariamente in lingua inglese su The Gospel Coalition.