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Il titolo non manderà il pubblico in visibilio, ma si tratta comunque di un ottimo libro: La nascita dell’ipercalvinismo tra i Non-conformisti inglesi: 1689-1765. Il libro è stato scritto da Peter Toon (1939-2009), pubblicato per la prima volta nel 1967 e include una prefazione dell’onnipresente J. I. Packer. Si tratta di un piccolo tomo erudito, denso di note e molto tecnico, ma contiene lezioni semplici e preziose. Packer dice: “È un racconto che invita alla prudenza; le sue lezioni giungono con un tempismo perfetto a coloro che desiderano un risveglio del cristianesimo riformato di oggi” (p. 8).

Personalmente, vi ho intravisto tre lezioni, che riporto in ordine crescente di importanza.

  1. Toon dimostra, come ha fatto più recentemente Ken Stewart, che la fede riformata non è completamente uniforme. Questo non vuol dire che non ci sia una continuità di base da Calvino a Beza, ai Puritani, fino alla “Old Princeton” e ai giorni nostri, ma che, in molti momenti della storia riformata, non era chiaro quale fosse la posizione riformata.
  2. Toon dà una solida definizione di ipercalvinismo, ed esso non coincide con l’essere molto, molto riformati. Nel gergo comune, dire a qualcuno che è ipercalvinista significa semplicemente dirgli: “Penso che tu sia troppo calvinista”, ma questo non è un uso corretto del termine. Storicamente, l’ipercalvinismo si riferisce a un insieme di conclusioni e pratiche teologiche, nessuna delle quali contraddistingue i principali calvinisti di oggi.

    Ecco il riassunto di Toon (con l’aggiunta di alcune interruzioni di paragrafo):

    [L’ipercalvinismo] era un sistema teologico, o un sistema di dottrine su Dio, l’uomo e la grazia, concepito per esaltare l’onore e la gloria di Dio, a scapito della minimizzazione della responsabilità morale e spirituale dei peccatori nei confronti di Dio. Esso pone un’enfasi eccessiva sugli atti immanenti di Dio: la giustificazione eterna, l’adozione eterna e il patto eterno di grazia. Nella pratica, ciò significava che “Cristo e lui crocifisso”, il messaggio centrale degli apostoli, veniva messo in ombra.

    Inoltre, l’ipercalvinismo spesso non faceva distinzione tra la volontà segreta e quella rivelata di Dio e cercava di desumere i doveri degli uomini da ciò che insegnava riguardo ai decreti segreti ed eterni di Dio.

    Un’enfasi eccessiva è stata posta anche sulla dottrina della grazia irresistibile, con la tendenza ad affermare che l’uomo eletto non è solo passivo nella rigenerazione, ma anche nella conversione. Il grande entusiasmo per le azioni eterne e immanenti di Dio e per la grazia irresistibile portò all’idea che la grazia dovesse essere offerta solo a coloro ai quali era destinata.

    Infine, si riteneva che valida garanzia di salvezza fosse un sentimento e una convinzione interiori di essere eternamente eletti da Dio. L’ipercalvinismo portò quindi i suoi seguaci a ritenere che l’evangelizzazione non fosse necessaria, e a porre molta enfasi sull’introspezione per scoprire se si era eletti o meno (pp. 144-45).

    I principi fondamentali sono quindi: scarsa attenzione al messaggio della croce, nessuna offerta gratuita del Vangelo ai non credenti, nessuna invito agli uomini a nascere di nuovo, una dottrina della sicurezza della salvezza altamente introspettiva, e il collasso della distinzione fra volontà nascosta e rivelata di Dio. Questo era l’ipercalvinismo. Evidentemente, molto diverso dall’essere semplicemente molto riformati.
  3. Ma soprattutto, Toon spiega come un calvinismo sano sia diventato un ipercalvinismo malsano. Egli cita quattro ragioni per l’ascesa dell’ipercalvinismo in seno al nonconformismo inglese.

In primo luogo, dopo il 1660 il calvinismo ortodosso era sotto assedio. “La leadership religiosa della nazione era saldamente nelle mani di uomini che erano o arminiani o moderatamente calvinisti a livello teologico” (p. 146). Di fronte a questa opposizione, molti calvinisti si chiusero in una torre d’avorio: vedevano se stessi come il piccolo residuo che ancora si aggrappava alla fede apostolica, e, man mano che la loro fede assumeva un atteggiamento sempre più difensivo, diventava rigida e meno attraente.

In secondo luogo, l’ambiente intellettuale dell’epoca enfatizzava notevolmente il ruolo della ragione nella fede religiosa. Di conseguenza, gli ipercalvinisti applicarono una logica rigorosa alle dottrine bibliche, che portò però a conclusioni non bibliche: se la dottrina dell’elezione è vera e la grazia è davvero irresistibile, perché annunciare a tutti il Vangelo? Questa era una logica razionale, ma non una logica biblica.

[Aggiornamento: “razionale” probabilmente non è la parola migliore, perché può dare l’impressione che la logica biblica sia irrazionale. La logica biblica si attiene alle regole della razionalità, ma sempre essendo vincolata da tutti i dati biblici su ogni argomento. Ad esempio: il Padre è Dio; il Figlio è Dio; lo Spirito Santo è Dio; tuttavia, sbaglieremmo a dedurre da questo che ci sono tre dei, perché la Bibbia afferma chiaramente che c’è un solo Dio. Mi piace quello che ha detto un commentatore qui sotto: “Gli ipercalvinisti hanno applicato una logica rigorosa alle dottrine bibliche senza considerare TUTTE le dottrine bibliche relative, portando quindi a conclusioni non bibliche”].

In terzo luogo, molti dei principali ipercalvinisti erano “capaci di fare cambiamenti estremi nel loro pensiero” (p. 147). Non avevano la pazienza di convivere con le sfumature o le tensioni, ed erano inclini agli estremismi.

Si aggrappavano a un modo di pensare e ritenevano che l’unica linea d’azione sicura fosse quella di portare quel pensiero fino alle sue implicazioni più radicali.

Quarto, non erano molto intelligenti. Può sembrare una cosa crudele da dire, ma ascoltate cosa dice Toon:

Gli ipercalvinisti erano uomini sinceri e di media intelligenza, ma mancavano di spirito profetico e di discernimento. Desideravano ardentemente glorificare Dio e credevano erroneamente che Dio fosse più glorificato dall’esaltazione della libera grazia sul pulpito e sulla pagina stampata, che dall’evangelizzazione e dalla conversione degli uomini. Divennero così ossessionati dalla difesa di ciò che consideravano la sana dottrina che la melodia evangelistica della Scrittura, in sostanza un preludio di Dio per i peccatori, fu messa in sordina. (p. 148).

Spesso abbiamo una visione “populistica” dell’errore teologico, secondo cui la maggior parte degli errori deriva da persone troppo intelligenti, e per il loro bene. Non è sempre così, però; molti errori gravi si insinuano nella Chiesa perché i pastori e i leader non sono sufficientemente attenti, perspicaci e intelligenti per vedere i sottili errori da loro commessi nella logica di ragionamento o in ciò che viene enfatizzato maggiormente.

Questi quattro errori sono sempre tentazioni reali per il popolo di Dio, non da ultimo per i calvinisti. Dobbiamo essere pensatori attenti, fedeli ai testi biblici e non alle deduzioni logiche. Dobbiamo guardarci dalla nostra personalità e stare in guardia da un’etica del tipo “noi contro il mondo”. Soprattutto, dobbiamo essere sicuri che non ci sia imbarazzo sui temi della conversione e della chiamata del Vangelo a pentirsi e a credere. Come detto sopra, proprio un racconto che invita alla prudenza.

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