Cosa significa essere una chiesa confessionale? Quando sosteniamo una particolare dottrina, è giusto fare riferimento alla nostra confessione di fede o sarebbe meglio attenersi alle Scritture? Per i cristiani, la Bibbia non dovrebbe essere sufficiente per stabilire quale debba essere la nostra dottrina e pratica? Dovremmo chiedere ai membri di chiesa di sottoscrivere una particolare prospettiva su una dottrina di minore importanza?
Questi sono alcuni dei quesiti pratici al centro del cristianesimo confessionale. Ho posto queste domande a Ligon Duncan, cristiano confessionale di lunga data e membro del Consiglio del TGC. Duncan, ex pastore della storica First Presbyterian Church di Jackson, Mississippi, è ora rettore del Reformed Theological Seminary.
È biblico che la chiesa scriva e utilizzi confessioni di fede?
Sì! È assolutamente biblico che una chiesa utilizzi una confessione di fede. Il famoso shemà in Deuteronomio 6:4 (“Ascolta, Israele: Il SIGNORE, il nostro Dio, è l’unico SIGNORE”) è una confessione di fede. Afferma le due verità fondamentali per la religione di Israele: che Jahvè esiste e che è l’unico vero Dio. Nel Nuovo Testamento, Paolo introduce principi come questi dicendo “certa è quest’affermazione”. Affermazioni fondamentali di questo tipo, che mettono in evidenza gli impegni basilari del popolo di Dio, si trovano in tutta la Scrittura.
E per quanto riguarda la stesura delle confessioni di fede? Anche in questo caso, sì, è biblico. Se si guarda alla storia dei credo e delle confessioni di fede, si vedrà che i credo e le confessioni di fede creati dall’uomo sono nati dal desiderio della chiesa di essere fedele al chiaro insegnamento della Scrittura. Quando i falsi insegnanti si appellavano alla Bibbia e la distorcevano per adattarla ai loro scopi, i cristiani difendevano la verità articolando chiaramente le loro convinzioni scritturali con un linguaggio che fosse il più fedele possibile, e a cui i falsi insegnanti non potessero controbattere. Per esempio, la parola homoousios non si trova nella Scrittura, ma è stata concepita per trasmettere un’idea indiscutibilmente scritturale sulla divinità di Cristo e sulla consustanziazione del Figlio con il Padre. Ario e i suoi seguaci non erano disposti ad accettare questa parola, e quindi essa fu usata per sostenere la verità biblica contro l’eresia.
Cosa significa essere un cristiano confessionale?
Un cristiano confessionale è definito dalla sua convinzione di fede in accordo con le confessioni storiche della Chiesa.
Tale conformità con le confessioni di fede e i credo del passato ci protegge dall’idiosincrasia, da un separatismo non biblico, dallo “snobismo cronologico” (secondo le parole di C. S. Lewis) e da tendenze scismatiche. Ci permette di operare all’interno della comunione dei santi. Ci assicura di dare voce alla maggioranza silenziosa di 2.000 anni di cristiani ortodossi che sono giunti alla gloria come chiesa trionfante, che non hanno più la possibilità di esprimersi, ma che ci parlano attraverso i credo e le confessioni di fede che hanno lasciato.
I cristiani confessionali, come i presbiteriani, gli anglicani e i battisti riformati, sono spesso accusati di dare priorità alle “dichiarazioni fatte dall’uomo” piuttosto che alla Bibbia. Un teologo ha persino definito “stupro dell’anima” la richiesta di sottoscrivere una confessione di fede o un credo.
Come dovremmo rispondere a queste accuse?
La nostra risposta alle accuse è spesso determinata dalla sincerità di chi le rivolge. Lo “stupro dell’anima” è un linguaggio provocatorio inteso a proteggere una posizione non biblica sulla libertà di coscienza. Tuttavia, quando le persone hanno domande sincere sul confessionalismo, non voglio rimproverarle; voglio affrontare le loro preoccupazioni in modo legittimo.
In primo luogo, è impossibile non essere confessionali. Tutti sono confessionali. Ora, che sia scritto e che sia o meno biblico è un’altra questione. E tutti sono teologi, anche quelli che dicono che la teologia è cattiva. È sempre meglio avere le idee chiare sulla nostra teologia, e per fare questo non c’è niente di meglio che metterla nero su bianco. Ovviamente lo scrivere non è garanzia di infallibilità, ma rende più facile determinare se la dottrina che stiamo confessando sia in linea con le Scritture o meno.
In secondo luogo, lo scopo di una confessione di fede non è quello di porre qualcosa al di sopra delle Scritture. Lo scopo di una confessione di fede è quello di assicurare che l’insegnamento pubblico della chiesa sia il più vicino possibile all’insegnamento della Scrittura. Non mettere per iscritto la nostra teologia e non confessarla pubblicamente come chiesa non porta a una sana libertà, ma ad una malsana restrizione.
Considerando questi punti insieme, immaginate se un battista e un presbiteriano venissero in una congregazione della Chiesa di Cristo e dicessero: “Oggi insegneremo il significato del battesimo, prima dal Messaggio e Credo battista e poi dalla Confessione di fede di Westminster. Dal momento che la Chiesa di Cristo non ha altro credo che Cristo, e che tutti crediamo nella Bibbia, possiamo insegnare qui, giusto?”. Ed ecco che invece ai due viene subito detto il contrario. Perché? Perché tutti hanno un credo, anche e soprattutto quelli che dicono di non averlo.
Come dovrebbe essere usata la confessione di fede in una denominazione o in un’istituzione? E in una chiesa locale?
Le confessioni di fede, storicamente, sono state utilizzate in tre modi. In primo luogo, hanno definito e difeso la dottrina, proteggendo così la chiesa dai falsi insegnamenti.
In secondo luogo, sono state utilizzate per la catechesi: formare ed equipaggiare i credenti con una panoramica completa dell’insegnamento biblico sui punti principali della religione.
In terzo luogo, sono stati utilizzati per la dossologia e per il culto. Molte chiese recitano il Credo degli Apostoli o il Credo di Nicea nel culto pubblico. Anche se gli utilizzi principali di una confessione riguardano il primo e il secondo punto, tutti e tre insieme ci mostrano il modo in cui le confessioni di fede dovrebbero essere utilizzate.
Da cosa è caratterizzata una buona confessione di fede?
Le confessioni di fede sono sempre radicate nella storia. Non esiste una confessione che non abbia un contesto. Si collocano sempre nel contesto teologico e culturale del loro tempo. Perché le confessioni di Nicea, Costantinopoli e Calcedonia si concentrano così tanto sulla Trinità e sulla divinità di Cristo? Perché all’epoca questi concetti erano sotto attacco.
Perché il Credo degli Apostoli si sforza di affermare la bontà della creazione e la realtà della vita umana e del corpo di Gesù Cristo? Perché lo gnosticismo rigettava queste verità. Potremmo passare in rassegna tutte le confessioni di fede della storia della chiesa e dimostrare che le controversie contemporanee, insieme al contesto culturale e teologico, hanno contribuito al contenuto, alla forma e all’attualità della confessione di fede. Non avremo mai una confessione di fede composta dall’uomo che sia definitiva, poiché ci sono sempre nuove sfide che richiedono alla chiesa di confessare pubblicamente la verità biblica.
Da cosa è caratterizzata una buona confessione di fede? Deve essere allo stesso tempo completa e concisa. Con essa, si devono coprire tutti i temi su cui la chiesa deve prendere posizione nel modo più breve e chiaro possibile. Deve essere sufficientemente esaustiva da difendere la verità e istruire il popolo, ma deve anche lasciare spazio alla libertà di disaccordo su questioni non primarie. Prendiamo ad esempio la Confessione di Westminster, che è molto più completa di altre confessioni più recenti di varie denominazioni. Eppure, anche se completa, lascia molto spazio ai fedeli per dissentire su questioni non prive di importanza. Il fatto che sia esaustiva e al contempo concisa permette alla chiesa di affermare pienamente e con forza la verità biblica, senza però scendere così tanto nei dettagli da tenere fuori persone che hanno un’alta considerazione delle Scritture e della teologia ortodossa.
E cosa dire di denominazioni, istituzioni e chiese che rifiutano l’uso delle confessioni? Questo le mette in una posizione di vulnerabilità? In che modo la confessione rafforza una denominazione, un’organizzazione o una chiesa locale?
Penso che le denominazioni, le istituzioni e le chiese che rifiutano le confessioni di fede siano vulnerabili proprio nelle due aree in cui credo e confessioni di fede ci aiutano di più. Sono vulnerabili perché non riescono ad aderire alla dottrina biblica e ad insegnare un sistema chiaro di dottrina biblica ai loro membri. Nella storia della chiesa ci sono innumerevoli esempi di questo meccanismo.
Ogni volta che le assemblee di credenti rifiutavano il confessionalismo più robusto del loro periodo per adottare dichiarazioni di fede più minimaliste, seguiva sempre miscredenza o eterodossia. Come risultato abbiamo avuto fenomeni come l’unitarianismo, una degradazione razionalista derivata dal congregazionalismo del New England che rifiutava il confessionalismo delle generazioni precedenti, oppure una degradazione eterodossa sfociata poi in una teologia settaria.
Cosa può comportare un uso improprio o eccessivo di una confessione di fede?
Non si tratta di un uso eccessivo, ma di un uso improprio. Se la confessione di fede o il credo sono biblici, come se ne potrebbe fare un uso eccessivo? Ma l’autorità di una confessione di fede non risiede in se stessa, bensì nella sua fedeltà nell’articolare la verità biblica. Nelle controversie dottrinali, per quanto sia utile citare la testimonianza confessionale della chiesa degli ultimi 2.000 anni, dobbiamo assicurarci che le nostre argomentazioni abbiano la Bibbia come norma definitiva della pratica e della fede.
Come mi disse Sinclair Ferguson anni fa, “fa tutta la differenza del mondo se crediamo a qualcosa perché lo leggiamo in Berkhof (l’autore fa qui riferimento ad un influente manuale di teologia sistematica scritto, appunto, da Louis Berkhof, N.d.T.) o se crediamo a qualcosa perché lo leggiamo in Romani”. Può darsi che Berkhof sostenga le stesse cose scritte in Romani, ma la ragione per cui dovremmo crederci è che si trova nella Bibbia.
Le confessioni stesse non sono intrinsecamente autorevoli; esse rimandano all’autorità ultima della Parola di Dio. Dovremmo sempre essere in grado di argomentare a partire dalla Bibbia. Le confessioni di fede ci aiutano solo a dire: “Crediamo e insegniamo questo perché crediamo nella Bibbia, e a proposito: abbiamo alle spalle 20 secoli di cristiani che sono d’accordo con noi”. Perciò, facciamo un uso improprio della confessione di fede se ci appelliamo ad essa come autorità finale.
Come si devono usare le confessioni di fede nella chiesa locale?
Le confessioni possono essere di enorme aiuto nella chiesa, ma dobbiamo essere molto, molto cauti. Quando, negli anni Sessanta, fu fondato il Reformed Theological Seminary, molti dei nostri studenti si laurearono e andarono nelle chiese presbiteriane presumendo che i leader e le congregazioni credessero nella Confessione di Westminster. Dopotutto, gli anziani e i diaconi l’avevano sottoscritta. Quegli studenti rimasero sbalorditi nell’apprendere che molte di quelle persone non avevano mai letto la Confessione di Westminster, né tantomeno apprezzavano alcune delle cose da essa insegnate.
Indipendentemente dalla nostra denominazione, nessuno di noi dovrebbe entrare in una congregazione presumendo che le persone conoscano la propria confessione di fede. Non viviamo in un’epoca teologica. Viviamo piuttosto in un’epoca che si concentra sui sentimenti e sulle azioni piuttosto che sul credo – come dice il proverbio: “fatti, non confessioni” (in originale, “Deeds, not creeds”, N.d.T.). Pertanto non dobbiamo dare per scontato che i nostri fedeli conoscano questi documenti, vi aderiscano o addirittura che li apprezzino.
Direi che la prima cosa che un pastore dovrebbe fare quando entra in una chiesa confessionale è capire se i suoi leader conoscano o meno l’insegnamento della loro confessione di fede. È necessario istruire i leader della chiesa – sia in modo formale che informale – per assicurarsi che conoscano a fondo la confessione di fede della loro chiesa.
Auspicabilmente, una volta fatto questo, il pastore riuscirà a capire se la congregazione conosce e apprezza l’insegnamento. Se in qualche modo lo conoscono e apprezzano, allora la confessione di fede può essere usata come strumento didattico. Il pastore potrebbe tenere una serie di sermoni ispirandosi al Credo degli Apostoli o, se si è battisti, al Messaggio e Credo battista del 2000 o alla Confessione di fede battista di Londra del 1689. In ogni caso, bisogna essere consapevoli del fatto che, se non sono usate con attenzione, le confessioni di fede possono far emergere una spaccatura teologica all’interno della congregazione.
Articolo apparso originariamente in lingua inglese su The Gospel Coalition.