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Troppo “vangelocentrici”?

Altro da Dane C. Ortlund

[…] vi ho prima di tutto trasmesso […] (1 Cor 15:3)

Negli ultimi anni c’è stata un’ondata di libri, blog, messaggi e movimenti che chiedevano, in vari modi, che la chiesa oggi fosse (più) “vangelocentrica”.

In ambito pubblico penso a Ray Ortlund, Zack Eswine, Tim Keller, Sovereign Grace, Acts 29, Gospel Coalition, Jared Wilson, Joe Thorn, Jonathan Dodson, Paul Tripp, David Powlison, Jerry Bridges, Mike Bullmore, D. A. Carson, Graeme Goldsworthy , Covenant Seminary, Tullian Tchividjian e molti altri (vedi ad esempio qui). Nel privato penso ad amici come Brian Martin, Nate Conrad, Dan Orr e Jim Lane, che mi hanno personalmente aiutato a comprendere come il vangelo sia il motore (ciò che ci fa andare avanti), e non la pista (ciò che ci fa decollare durante la conversione e che ci fa atterrare in paradiso alla morte, ma che è inutile nel frattempo), per la vita e la teologia.

Recentemente, tuttavia, alcuni si stanno chiedendo se la cosa non stia un po’ sfuggendo di mano, se sia lecito porre l’enfasi sul vangelo escludendo altre cose e, forse soprattutto, esprimono semplicemente un cinismo generale riguardo l’attuale tendenza di essere vangelocentrici (qualunque cosa “vangelocentrico” significhi. Uso qui questo termine in riferimento al vedere il vangelo non come ciò in cui si laurea un cristiano, ma come ciò che continua ad essere il cuore pulsante della vita, qualcosa che non sia solo da confessare dottrinalmente ed evangelisticamente, ma anche qualcosa di cui ci si sia appropriati emotivamente e psicologicamente, il non negoziabile di tutti i non negoziabili, meglio riassunto biblicamente in 1 Cor 15:3-4).

Ci sono tre possibili risposte all’attuale moda “vangelocentrica”:

  1. Scartarla acriticamente a causa del suo essere di tendenza;
  2. Assorbirla acriticamente perché accettata da altri che conosciamo o rispettiamo, nutrendoci indirettamente dell’eccitazione degli altri senza digerire personalmente il concetto in sé;
  3. Considerare cosa significhi e se si tratti o meno di un concetto biblico, riflettendo su ciò che in esso c’è di vero e chiedendoci perché sia di moda.

L’ultima opzione è la via della saggezza. 

Prima di scartarlo o assorbirlo, consideriamo questo concetto, mettiamolo alla prova e, se scopriamo che in effetti una più profonda consapevolezza del peccato e della guarigione dal peccato in Cristo è davvero il luogo per iniziare e finire ogni giorno in maniera umile e felice, allora trasmettiamolo.
Ricorda: la moda non è di per sé un male. La giustificazione per sola fede divenne improvvisamente di tendenza tra i circoli ecclesiastici più importanti negli anni ’20 e ’30 del Cinquecento. Ringrazia il Signore per tutti coloro che non l’hanno respinta né l’hanno assorbita acriticamente, ma che hanno lottato personalmente con essa e l’hanno verificata nelle loro Bibbie, hanno trovato una nuova liberazione e l’hanno trasmessa.


Apparso originariamente in lingua inglese su The Gospel Coalition (USA)

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