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La chiesa: ambasciatori sacerdotali

Uno sguardo a 1 Pietro 1:13-2:12

‘Che cosa fai per vivere?’ Come pastore ed ex-docente della Bibbia al college, questa è una domanda che temo un po’. Non perché mi vergogni di quello che faccio, ma piuttosto per le reazioni più comuni: solitamente un silenzio imbarazzato seguito da un veloce cambio di argomento nella conversazione, oppure un ‘Intendi dire che sei, tipo, un prete?’

Quando le persone mi chiedono se sono un prete, vorrei rispondere, ‘Beh, più o meno, ma probabilmente non nella maniera che pensi’.

Quando le persone mi chiedono se sono un prete, vorrei rispondere: ‘Beh, più o meno, ma probabilmente non nella maniera che pensi’. E questo potrebbe portarci a una conversazione su quello che faccio, o in cosa credo, e a varie domande su moralità cristiana o etica. Ma ciò che spesso non viene esaminato, e forse dovrebbe esserlo, è chi sono. O, più precisamente, a chi appartengo. O meglio ancora: a chi apparteniamo come cristiani. E tiro fuori quest’idea di chi io sono, o chi noi siamo (e a chi apparteniamo), perché in larga parte è ciò di cui tratta 1 Pietro 1:13–2:12. Si parla di cosa significhi essere ‘un popolo che appartiene a Dio’ (2:10).

Ambasciatori sacerdotali (1 Pietro 2:9-10)

Prendendo 1 Pietro 2:9-10 come punto di partenza, Pietro descrive i credenti dell’Anatolia in termini di status (una stirpe eletta), funzione (un sacerdozio regale), carattere (una gente santa). Pietro riassume la loro posizione come un popolo speciale e caro che Dio si è acquistato perché proclami  le virtù di colui che l’ha chiamato dalle tenebre alla sua luce meravigliosa. In breve, mediante la misericordia di Dio, erano il popolo escatologico di Dio, chiamato a proclamare la sua opera salvifica. In molti aspetti questa è precisamente la chiamata di Israele secondo la narrativa di Esodo:

Voi avete visto quello che ho fatto agli Egiziani e come vi ho portato sopra ali d’aquila e vi ho condotti a me.  Dunque, se ubbidite davvero alla mia voce e osservate il mio patto, sarete fra tutti i popoli il mio tesoro particolare; poiché tutta la terra è mia; e mi sarete un regno di sacerdoti, una nazione santa. (Esodo 19:4–6)

Israele era il popolo scelto da Dio, messo da parte per essere santo, una nazione di sacerdoti. Non appartenevano più al faraone, ma a Yahweh che li aveva salvati. Erano stati chiamati fuori dalle tenebre della schiavitù in Egitto per vivere nella luce di Dio e proclamare le sue opere salvifiche.

Quindi cosa significava a livello pratico essere un regno di sacerdoti? Cosa aveva esattamente in mente Dio quando ha chiamato gli israeliti? C’è un aspetto di tipo ‘verticale’ e uno di tipo ‘orizzontale’.

Verticalmente, al livello più profondo, significava che Aaronne e i suoi compagni sacerdoti rappresentavano Yahweh a Israele, e Israele a Yahweh. La relazione di Israele con Yahweh dipendeva dal sacerdozio, da coloro i quali erano stati messi da parte (fatti santi) e ai quali era stato dato il privilegio di accedere a Yahweh con lo scopo di intercedere tra il Signore e il suo popolo.

Orizzontalmente significava che, come i sacerdoti rappresentavano Yahweh agli israeliti, così anche gli israeliti dovevano rappresentare Yahweh alle nazioni, e le nazioni davanti a Yahweh. Erano la presenza e la funzione sacerdotale d’Israele che avrebbero reso possibile una relazione tra Yahweh e le nazioni. Questa funzione sacerdotale era stata prefigurata ancora prima di questo. Ne vediamo i segni…

  • nel linguaggio usato in riferimento ad Adamo nel coltivare il giardino (Genesi 2:15), che è rispecchiato in quello riferito ai sacerdoti nel lavorare al tabernacolo/tempio (cfr Numeri 3:7–8; 8:25–26; Ezechiele 44:14);
  • in Abraamo che intercede per Sodoma e Gomorra (Genesi 18);
  • in Giuseppe che rappresenta Yahweh al Faraone interpretando i suoi sogni, e in definitiva salvando la nazione e la sua famiglia (Genesi 39 e ss);
  • in Mosè che porta la rivelazione di Dio ad un faraone successivo  rappresentandogli il  Signore.

Tutte queste sono funzioni sacerdotali. Perfino in esilio il popolo di Dio era chiamato al servizio sacerdotale in Babilonia (Geremia 29:4–7). Avrebbero dovuto gridare al Signore per conto della città per vederla fiorire e prosperare.

Quando le nazioni avessero guardato Israele, anche in esilio, avrebbero dovuto vedere com’era la vita sotto il governo benevolo di Yahweh e intravedere il suo carattere buono e santo. Avrebbero conosciuto il vero Dio che:

  • si compiace nel salvare le persone dall’oppressione;
  • si compiace nella rettitudine e nella giustizia;
  • è misericordioso, lento all’ira e ricco in amore;
  • abbassa l’orgoglioso e innalza l’umile;
  • desidera portare benedizione e shalom alle nazioni.

E quando Pietro riprende così chiaramente i versi da Esodo, mi sembra che abbia questa missione in mente. Come coloro i quali sono stati chiamati dalle tenebre alla luce di Dio, così questa giovane chiesa nell’antica Turchia era stata chiamata per essere un sacerdozio regale. Sono stati trasformati in un popolo che rappresentasse Yahweh (come rivelato in Gesù Cristo) alle loro famiglie, ai loro vicini, amici, colleghi e compagni. Sia collettivamente (come chiesa) che individualmente dovevano essere persone che avrebbero dato uno scorcio di Gesù Cristo e del suo regno. Le loro vite dovevano risplendere di grazia e verità, per non dire di amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mansuetudine, e autocontrollo (Ga 5:22–23).

Essere un sacerdote è molto simile all’essere un ambasciatore e far parte di un’ambasciata.

In altre parole, si potrebbe dire che essere un sacerdote è molto simile all’essere un ambasciatore e far parte di un’ambasciata. I ruoli e le funzioni di un’ambasciata e dei suoi ambasciatori sono quelli di rappresentare la loro nazione sul suolo straniero. Gli ambasciatori dell’ambasciata rispettano le leggi della nazione ospite e cercano di costruire con lei rapporti funzionanti, ma la loro fedeltà ultima è alla loro patria.

I cristiani sono il sacerdozio di Dio, i suoi ambasciatori per Gesù, e i membri del suo regno. La loro missione e il loro scopo sono quelli di rappresentare Gesù e il suo regno tra le comunità in cui Dio li ha messi. Così, quando qualcuno incontra un credente o entra in una chiesa, l’ideale è che abbia un assaggio della bontà di Gesù e del suo regno. Questo è l’obiettivo.

Perché la santità è importante (1 Pietro 1:14–16)

Ora, affinché la chiesa possa essere efficace in questa chiamata sacerdotale o ambasciatoriale, la santità è importante. Una storia potrebbe aiutare a spiegare il perché.

Nell’agosto del 1985, il colonnello Vitaly Yurchenko, membro del KGB, entrò nell’ambasciata americana a Roma dicendo che voleva lasciare i sovietici per vivere negli Stati Uniti libero dal regime comunista. Lo hanno portato negli Stati Uniti, dove è stato interrogato al fine di assicurarsi che la sua defezione fosse giustificata. Divulgò i segreti dei sovietici, di alcuni dei quali il governo americano era già a conoscenza, e altri di cui non lo era ancora. A tutti gli effetti, sembrava un convertito alla causa americana anti-comunista. Quando gli hanno chiesto del perché avesse disertato, descrisse un modo di vivere che lo aveva lasciato morto dentro:

  1. il comunismo non era bello come lo si voleva far credere;
  2. il KGB era corrotto;
  3. a livello più personale, non era più innamorato di sua moglie;
  4. stava crescendo un adolescente problematico;
  5. sua madre era morta di cancro.

Entrando in quell’ambasciata si stava separando dal suo vecchio padrone (il KGB) e stava dedicando se stesso alle autorità americane e al modo di vivere democratico. Gli si prospettava una vita di libertà. E poi, dopo circa 3 mesi, disertò di nuovo per tornare dai sovietici. Non conosciamo il perché. Forse temeva le loro ripercussioni su di lui, forse desiderava di nuovo la sua famiglia, forse temeva le ripercussioni sulla sua famiglia a causa della sua iniziale diserzione.

La storia di Yurchenko è il contrario di ciò che significa santità, in particolare nel senso della sua lealtà divisa. Ha cercato di dichiarare un modo di vivere mentre il suo cuore, apparentemente, voleva qualcos’altro. Era simile all’uomo dall’animo doppio e instabile descritto in Giacomo 1:6-8.

Un secondo esempio può essere utile: se avete mai visitato una nazione come l’India o la Cambogia, una delle cose che spesso avrete visto nelle case e nei negozi sono le nicchie dedicate alle varie divinità buddiste/induiste (idoli). Era così anche al tempo della stesura di 1 Pietro. Se foste diventati cristiani in quel contesto, le persone avrebbero iniziato a fare domande su dove fossero finiti i vostri idoli. Avreste dovuto spiegare il vostro cambiamento di devozione. Unendovi alla chiesa, siete entrati nell’ambasciata che rappresenta il regno di Dio e vi siete separati dall’imperatore o dalle divinità locali per unirvi a Gesù.

Ma a differenza di Yurchenko, i cristiani, passati e presenti, devono rimanere nel popolo da cui hanno disertato. Diventiamo ambasciatori e sacerdoti, rappresentando il regno di Dio in mezzo al nostro popolo. E questo è ciò che significa santità. È l’idea di essere messi da parte per un singolo scopo. Guarda 1 Pietro 1:14-16:

Come figli ubbidienti, non conformatevi alle passioni del tempo passato, quando eravate nell’ignoranza; ma come colui che vi ha chiamati è santo, anche voi siate santi in tutta la vostra condotta, poiché sta scritto: «Siate santi, perché io sono santo».

De-Storicizzato, ma Re-Storicizzato in Cristo

In un mondo che ha un pantheon di divinità, Gesù chiede totale ed esclusiva fedeltà, e completa devozione ai suoi scopi. Questi primi credenti nell’antica Turchia erano stati chiamati da un modo di vivere ad un altro. Convertendosi alla fede cristiana avrebbero perso amici, famiglia, colleghi e compagni. Sarebbero stati cancellati dalle storie delle loro famiglie. Sarebbero stati disconosciuti, disonorati e de-storicizzati, per così dire. Ma Pietro cerca di re-storicizzare queste persone. Presenta Gesù come la pietra angolare che onora quelli che vengono a lui in fede. Mostra loro come la storia e la storia d’Israele sia ora la loro storia. Anche loro condividono la storia del popolo di Dio mediante la fede in Cristo. L’Antico Testamento è un documento della loro storia di famiglia!

Conclusione

Come credenti cristiani, quando abbracciamo la nostra identità come ambasciatori sacerdotali, diventiamo stranieri e esiliati nel mondo. Mentre il mondo ci rifiuta, noi seguiamo Gesù, la Pietra Vivente, che era scelto e prezioso a Dio eppure rifiutato dal mondo.

Questa è la vita di qualcuno che è chiamato da Dio per essere ambasciatore sacerdotale e straniero in questo mondo. Significa che sembreremo un po’ diversi, forse anche un po’ strani. E va bene così. Questo è quello che significa essere santi.

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