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La cecità spirituale può essere una cosa buona? In 2 Corinzi 4:3-4 Paolo ne parla come un’opera di Satana per impedire alle persone di vedere la verità del vangelo. Così, almeno in quel passo, la cecità spirituale è decisamente non buona!

In Giovanni 9 Gesù ridà la vista a un uomo nato cieco. Anziché suscitare un ringraziamento universale verso Gesù, questa guarigione scatena una serie di commenti e accuse infelici. Ma produce anche una divisione (Gv 9:16)—qualcosa che era già successo (Gv 7:43) e che succederà anche dopo (Gv 10:19) riguardo a Gesù—perché ad alcuni questo miracolo fa riflettere sull’identità di colui che l’aveva compiuto.

Si tratta di un tema portante dell’evento.

Un cieco che sa di essere cieco

A momenti la scena è tragicomica. Per lunghi anni l’uomo mendicava. Ma non tutti sono d’accordo che l’uomo, che ora ha la vista, fosse davvero il cieco mendicante (vv. 8-9). Decidono di portarlo dai farisei i quali lo interrogano, anziché rimanere meravigliati di fronte a una cosa di una singolarità inaudita (cfr. Gv 9:32)! Ci rimangono, invece, offesi, a conferma della loro reputazione di essere “guide cieche”, che “filtrano il moscerino” e “inghiottiscono il cammello” (Mt 23:24). E perché? Evidentemente perché Gesù “ha lavorato” di sabato non solo guarendo un cieco, ma facendo del fango e spalmandoglielo sugli occhi.

Vengono chiamati in ballo i genitori, i quali non fanno esattamente bella figura. Si limitano a confessare che l’uomo sia loro figlio e sia nato cieco (v. 20), ma negano di sapere chi gli abbia aperto gli occhi e come ciò sia avvenuto (v. 21). Quest’ultima negazione pare una bugia spudorata. Ma avevano paura, perché i capi-giudei (v. 22) “avevano già stabilito che se uno avesse riconosciuto Gesù come Cristo, sarebbe stato espulso dalla sinagoga.”

Dei ciechi che non sanno di essere ciechi

Ecco quel tema (Gesù il Cristo, il Messia di Dio) che dava gran fastidio alla maggioranza dei farisei e dei capi-religiosi. Si vede che erano proprio “accecati”…o forse no? Ad ogni modo su Gesù erano sicuri (v. 24): “quest’uomo è un peccatore”, e volevano che l’ex-cieco concordasse con loro.

Lui invece segue un’altra strada. Si limita a dire quello che sa, ciò che gli era successo, e le deduzioni che ne trae. Si tratta di una caratteristica che lo definisce in questo brano (vv. 9, 11, 12, 15, 17, 25, 27, 30-33, 36, 38). La sua risposta ai farisei è da incorniciare (v. 25): “Se egli sia un peccatore, non lo so; una cosa so: che ero cieco e ora ci vedo.”

Anche qui i farisei, anziché interrogare se stessi, continuano a interrogare l’uomo facendogli nuovamente le stesse domande. Al che l’uomo, evidentemente non senza sarcasmo, chiede se vogliano anch’essi diventare seguaci di Gesù! Arrivano le prevedibili accuse verbali, e in coda la curiosa dichiarazione di non sapere neppure di dove sia (v. 29) “costui.”

A questo punto finalmente qualcuno, ma non loro, esprime meraviglia (greco, thaumastos; v. 30): “L’uomo rispose loro: ‘Questo poi è strano [cfr. la Diodati: “V’è ben di vero da maravigliarsi”], che voi non sappiate di dove sia; eppure mi ha aperto gli occhi!’”

Il prosieguo del suo discorso va meditato (vv. 31-32), ma riportiamo solo la conclusione (v. 33: “Se quest’uomo non fosse da Dio, non potrebbe far nulla”), la risposta dei farisei (v. 34a: “Tu sei tutto quanto nato nel peccato e insegni a noi?”), e ciò che gli hanno fatto (v. 34b: “E lo cacciarono fuori”).

È chiaro che per loro quest’uomo, sebbene abbia recuperato la vista fisica, è spiritualmente cieco e, di conseguenza, incapace di insegnare loro, quelli che ci vedono. Ma le cose stanno così?

L’ex cieco guarito non solo fisicamente

Il racconto va avanti. Gesù trova l’uomo e intercorre tra loro un breve dialogo (vv. 35b-38): Gesù “gli disse: ‘Credi nel Figlio dell’uomo?’ Quegli rispose: ‘Chi è, Signore, perché io creda in lui?’ Gesù gli disse: ‘Tu l’hai già visto; è colui che ti sta parlando’. Egli disse: ‘Signore, io credo’. E l’adorò.”

In precedenza, l’uomo pensava che Gesù fosse “un profeta” (v. 17), e prima ancora “quell’uomo che si chiama Gesù” (v. 11). Ma ora, di fronte alla realtà della pretesa di essere il Messia che doveva venire, lui accoglie Gesù credendo ed adorandolo come Dio. L’ex cieco ora ci vede davvero!

Infatti, Gesù è venuto per far sì che (v. 39) “quelli che non vedono [i ciechi spirituali] vedano”—tra cui l’uomo che, prima, aveva ricevuto la vista fisica da Gesù e, in seguito, quella spirituale. Ma è venuto anche, al contrario, per far sì che “quelli che vedono [cioè, quelli che sono convinti di vedere senza la rivelazione e l’intervento di Dio] diventino ciechi,” ovvero, “vengono condannati a rimanere nella propria ignoranza.”

Gesù chiama questo un “giudizio.” Alcuni farisei, che sono con lui in quel momento, e sentendo questo detto paradossale, gli domandano (v. 40): “Siamo ciechi anche noi?”

Quale cieco sei?

Nel senso in cui Gesù ne sta parlando, la cecità spirituale è un pregio: è una postura di umiltà. In questo brano è dimostrata nelle azioni e nelle parole dell’uomo nato cieco, il quale si rende sempre conto dei propri limiti (vv. 12, 25, 36). Per la grazia di Dio, lui si era aperto alla conoscenza della salvezza di Dio portata dal Messia.

I farisei invece si erano chiusi, respingendo la buona volontà di Dio (cfr. Lc 7:30), pensando di vedere (Gv 9:41b: voi “dite: ‘Noi vediamo’”). Avrebbero dovuto invece ritenersi “ciechi”, manifestando la postura necessaria per poter ricevere la vista spirituale e la salvezza eterna, tramite Gesù Cristo.

Tu ed io, pensiamo di saper tutto su Gesù e la salvezza senza conoscenze bibliche? O abbiamo fatto un piccolo passo in avanti identificandolo come “quell’uomo che si chiama Gesù”, o perfino un passo ancor più grande vedendolo almeno come un profeta?

Questo brano ci esorta a vederci come dei ciechi spirituali.

Con questa postura, stiamo confessando di essere incapaci in noi stessi e bisognosi dell’intervento di Dio per conoscere la salvezza in Gesù Cristo e credere in lui.


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