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Se Dio è sommamente buono e onnipotente, perché c’è così tanto male e sofferenza nel mondo?

Questa domanda, l’antico “problema del male”, è probabilmente il più grande argomento di tutti i tempi contro l’esistenza di Dio. La domanda ha sia una valenza “globale” che una “locale”: è un dilemma logico che crea perplessità nei filosofi e una lotta emotiva che ogni malato dovrà affrontare. È sia intellettuale che quotidiano.

Quando siamo insieme a qualcuno che sta soffrendo, spesso è meglio lasciar stare del tutto le parole, e attenersi alle lacrime, al silenzio e alle preghiere. Nel mio ruolo pastorale ho spesso il privilegio di sedere con persone che si trovano in profondo dolore. In quei momenti, solitamente, offrire incoraggiamento, o persino interpretazioni, fa più male che bene. La cosa migliore è semplicemente sedere con loro nelle tenebre. Come dice mio fratello Dane, “Che Romani 8:28 venga prima di Romani 12:15 nel canone [biblico], non significa che dovrebbe essere così anche durante il nostro counseling e nelle nostre amicizie.”

Ma a volte, che sia per qualcun altro o per noi stessi, dobbiamo fornire una risposta alla domanda “perché?”. Quando vediamo profonda sofferenza, significa che Dio non si interessa, o che Dio non possa farne a meno, oppure che Dio non ci sia affatto? Piuttosto che affrontarla frontalmente, una delle migliori strategie per rispondere a questa domanda è quella di affiancarla, attirando l’attenzione su un indizio presente nella domanda stessa.

Linee storte, linee rette

Richard Dawkins, dopo aver raccontato dell’abbondanza di crudeltà e sofferenza nel mondo naturale, fornisce un’eloquente espressione del problema del male:

Il giorno in cui ho scritto questo paragrafo per la prima volta, i giornali britannici riportavano tutti la terribile storia di uno scuolabus pieno di bambini di una scuola Cattolica Romana che si è schiantato senza ragione ovvia, con la totale perdita di vite umane. Non era la prima volta che i religiosi erano in parossismo su questa questione teologica, formulata in questo modo da uno scrittore di un quotidiano londinese (The Sunday Telegraph): “Come si può credere in un Dio amorevole e onnipotente che permette una tragedia del genere?” L’articolo continuava citando la risposta di un sacerdote: “La semplice risposta è che non sappiamo perché dovrebbe esserci un Dio che permette che queste cose terribili accadano. Ma l’orrore dello schianto, per un cristiano, conferma il fatto che viviamo in un mondo di valori reali: positivi e negativi. Se l’universo fosse composto solo di elettroni, non ci sarebbe il problema del male o della sofferenza.” Al contrario, se l’universo fosse composto di soli elettroni e geni egoisti, tragedie senza senso come lo schianto di questo autobus sarebbero esattamente ciò che dovremmo aspettarci, insieme a una fortuna altrettanto insignificante.

Questo testo ha una forte retorica, ma ci sono anche delle scelte di vocabolario che causano perplessità. Cosa intende Dawkins quando chiama l’incidente dello scuolabus “tragedia senza senso”? Dawkins fa appello a più della sua mera antipatia personale per gli incidenti di scuolabus. Definirli “terribili” e “tragici” fa appello a uno standard più ampio. Su quali basi Dawkins inserisce furtivamente questi termini essenzialmente morali? Dawkins respinge la risposta data dal sacerdote, ma sembra non cogliere il punto: la questione sollevata dal sacerdote non riguarda il se possiamo aspettarci che le tragedie accadano, ma il perché esse costituiscano un problema.

S. Lewis espresse questa difficoltà in questo modo: “La mia argomentazione contro Dio era che l’universo sembrasse tanto crudele e ingiusto. Ma come mi ero fatto questa idea di giusto e ingiusto? Un uomo non definisce storta una linea, a meno che non abbia almeno un’idea di cosa sia una linea retta.”

Non puoi ottenere un ‘dovrebbe’ da un ‘è’. Un incidente di scuolabus non può essere definito una “tragedia” a meno che lo schianto di uno scuolabus sia qualcosa che non dovrebbe avvenire, così come una linea storta non è storta a meno che non esista una linea retta. Ma se non c’è nulla al di là della natura, se i forti che divorano i deboli è il modo in cui tutti siamo arrivati fin qui e il modo in cui il mondo è sempre stato, allora perché non dovrebbero verificarsi incidenti con gli scuolabus?

Oppure prendiamo un esempio di male ancora più orribile, come il genocidio. Ogni persona ragionevole riconosce che tali eventi non sono semplicemente dolorosi o spiacevoli, ma proprio sbagliati. Eppure, se all’interno di un sistema chiuso i processi casuali fossero l’unica causa della nostra esistenza, tali eventi non sarebbero qualitativamente diversi da uno squalo che mangia una foca o da un acchiappamosche di Venere (una pianta carnivora, N.d.T.) che liquefà un insetto. Questo sarebbe semplicemente l’universo che continua a fare ciò che ha sempre fatto. Un tale universo potrebbe essere antipatico, ma non avremmo motivo di vedere un “problema” nel suo funzionamento. Come disse il poeta Stephen Crane:

Un uomo disse all’Universo,

“Signore, io esisto!”.

“Comunque,” rispose l’Universo,

“Il fatto non suscita in me

alcuna forma di obbligo.”

Vivi e muori in questo giorno

Questo aspetto mi è venuto in mente di recente mentre guardavo il film del 2011 The Grey, che narra di alcuni petrolieri che cercano di sopravvivere ad un branco di lupi dopo che il loro aereo si è schiantato. Il film, secondo me, è un’esplorazione del nichilismo e della morte: i dialoghi, la trama e persino l’ambientazione stessa (l’aspra landa selvaggio dell’Alaska) sottolineano l’inevitabilità schiacciante della morte. Il messaggio di base sembra essere: “La morte è tutto ciò che c’è, quindi muori con classe.” La poesia recitata per tutto il film e durante il suo climax mi ricorda “Do Not Go Gentle Into that Good Night” di Dylan Thomas:

Ancora una volta nella mischia

Nell’ultima vera battaglia che affronterò

Vivi e muori in questo giorno

Vivi e muori in questo giorno

Il personaggio di Liam Neeson recita questa poesia per tutto il film, e poi un’ultima volta alla fine, nella tana del lupo. In un momento commovente, appena prima della sua morte, dopo che tutti i suoi amici sono morti, grida a Dio implorando per un segno, e in cambio non riceve nulla.

È commovente e (per usare il vocabolario di Dawkins) tragico. Ma poi mi si accende la lampadina: perché è triste? Entro i confini del nichilismo non è facile capire perché la rappresentazione della morte dovrebbe avere una tale forza emotiva.

In termini di puro nichilismo, perché il personaggio di Neeson dovrebbe aspettarsi di sentire qualcosa da parte di Dio? Se la morte fosse davvero tutto ciò che c’è, perché non desideriamo semplicemente “vivere e morire in questo giorno”? Oppure, se “quella buona notte” è tutto ciò che c’è, ed è davvero “buona”, perché non raggiungerla dolcemente? Il fatto stesso che il nichilismo sia così stimolante e inquietante ci fa chiedere se questo sia davvero una risposta completa. Le linee storte implorano per una spiegazione.

Il problema del bene

Il problema del male è un problema per tutti. Se Dio esiste dobbiamo spiegare perché il male sia qui. Ma se Dio non esiste, dobbiamo spiegare perché troviamo il “male” discutibile. Il cristiano può lottare con il male; lo scettico deve in aggiunta lottare con il bene. Il cristiano può piangere su delle linee storte; lo scettico deve spiegare cosa le rende storte.

Per il cristiano la spiegazione del male arriva attraverso le nozioni di creazione e caduta, e poi in definitiva attraverso la croce, attraverso il “perché mi hai abbandonato?”, che è la suprema “terribile tragedia”, la suprema linea storta e “ultimo buon combattimento”.

Nel frattempo queste risposte non rimuovono il mistero del male né il suo pungiglione. Il cristiano può entrare nella lotta dello scettico contro il male. Sentiamo che il male è sconcertante, impensabile, accecante e opprimente. Possiamo ammirare la cupa determinazione con cui Liam Neeson entra nella tana del lupo. Possiamo apprezzare il sentimento: “Non andare dolcemente in quella buona notte”.

Ma abbiamo anche un senso del perché la morte sia così tragica. Sappiamo perché tifiamo tutti per Neeson contro il lupo. Siamo in grado di afferrare sia l’oscurità agghiacciante che la dolorosa bellezza del mondo. E, oltre a ciò, nella tomba vuota abbiamo la speranza che un giorno il male sarà soppresso per sempre e che ogni linea storta verrà raddrizzata.

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