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I cristiani evangelici hanno generalmente resistito a demitizzare i Vangeli dove, per esempio, la resurrezione di Gesù viene interpretata come rappresentazione mitica del principio di nuova vita. Infatti hanno sostenuto con forza che sia la vera storicità della resurrezione a essere così vitale. Tuttavia, quando si tratta delle figure bibliche di Adamo ed Eva, c’è stata di gran lunga maggiore volontà nell’interpretarle come mitiche o simboliche.

Il semplice scopo di questo articolo è mostrare che, lungi dall’essere una questione secondaria per letteralisti esigenti, è biblicamente e teologicamente necessario che i cristiani credano in Adamo come persona storica che ha generato l’intera razza umana.

Adamo era un personaggio storico

Evidenza testuale

I primi capitoli della Genesi a volte usano la parola ‘ādām per significare “umanità” (es. Gen. 1:26–27), e poiché c’è chiaramente una struttura letteraria in quei capitoli, alcuni hanno visto la figura di Adamo come un espediente letterario piuttosto che come un individuo storico. Già qui sorge una domanda: dobbiamo proprio scegliere? In tutta la Bibbia vediamo esempi di espedienti letterari usati per presentare materiale storico: pensiamo a Nicodemo che viene da Gesù di notte, o all’enfasi nei Vangeli sulla morte di Gesù al momento della Pasqua. La maggior parte dei commentatori riconoscerebbe felicemente che qui vengono impiegati espedienti letterari per attirare la nostra attenzione sul significato teologico degli eventi storici raccontati. La necessità “letteraria” non esclude il “letterale”.

È biblicamente e teologicamente necessario che i cristiani credano in Adamo come persona storica che ha generato l’intera razza umana.

La prossima domanda allora deve essere: il “letterario” esclude il “letterale” nel caso di Adamo? Non secondo quelle altre parti della Bibbia che si riferiscono ad Adamo. Le genealogie di Genesi 5, 1 Cronache 1 e Luca 3 trovano tutte il loro primo genitore in Adamo e, sebbene le genealogie bibliche a volte omettano i nomi per vari motivi, non è noto che aggiungano figure mitologiche o di fantasia. Quando Gesù insegnò sul matrimonio in Matteo 19:4–6, e quando Giuda si riferì ad Adamo in Giuda 14, non vennero usati avvertimenti o altro che suggerisse di dubitare della realtà storica di Adamo o di pensare a lui in modo diverso rispetto ad altri personaggi dell’Antico Testamento. E quando Paolo disse che Adamo era stato formato per primo, e che la donna veniva da lui (1 Cor. 11:8-9; 1 Tim. 2:11-14), doveva presumere che Genesi 2 fosse un resoconto storico. La sua argomentazione sarebbe crollata nell’assurdo se avesse voluto intendere che Adamo ed Eva erano dei semplici simboli raffiguranti l’intramontabile verità che sosterrebbe la preesistenza degli uomini rispetto alle donne..

Necessità teologica

Possiamo pensare a questi passaggi come prove circostanziali del fatto che gli autori biblici pensavano ad Adamo come ad una persona reale nella storia. Le prove circostanziali sono utili e importanti, ma abbiamo qualcosa di più convincente. Il ruolo svolto da Adamo nella teologia di Paolo rende la sua realtà storica parte integrante della trama di base del vangelo. E se così è, allora la storicità di Adamo non può essere una questione secondaria, bensì parte integrante dei fondamenti della fede cristiana.

Il primo passaggio si trova in Romani 5:12–21, dove Paolo contrappone il peccato di “un solo uomo”, Adamo, con la giustizia di “un solo uomo”, Cristo. Paolo è l’apostolo che ha ritenuto necessario fare una distinzione apparentemente minuscola tra “la progenie”, singolare, e “le progenie”, plurale (Gal. 3:16), quindi è probabilmente lecito ritenere che non sia stato così sconsiderato da intendere “uomini” quando parlava di “un solo uomo”. Anzi, “l’unico uomo” è ripetutamente messo in contrasto con i molti esseri umani, e “l’uno” è alla base dell’argomento stesso di Paolo, che riguarda il rovesciamento dell’unico peccato dell’unico uomo (Adamo) mediante l’unica salvezza dell’unico uomo (Cristo).

È semplicemente impossibile rimuovere un Adamo storico dal vangelo di Paolo lasciandolo intatto

In tutto il brano Paolo parla di Adamo nello stesso modo in cui parla di Cristo (il suo linguaggio nel parlare della morte che viene “attraverso” Adamo è simile a quello che usa parlando della benedizione che viene “attraverso” Abraamo in Galati 3). È in grado di parlare di un tempo prima della trasgressione di quest’unico uomo, quando non c’era né peccato né morte, ed è in grado di parlare di un tempo successivo, un periodo che va da Adamo a Mosè. Paolo non avrebbe potuto essere più chiaro: credeva che Adamo fosse una figura tanto reale e storica quanto lo erano Cristo e Mosè (e Abraamo). E ancora, non è solo il linguaggio di Paolo a suggerire che credesse in un Adamo storico: tutta la sua argomentazione dipende da questo. La sua logica sarebbe crollata se avesse paragonato un uomo storico (Cristo) a uno mitico o simbolico (Adamo). Se Adamo e il suo peccato fossero stati meri simboli, allora non ci sarebbe stato bisogno di un’espiazione storica: un’espiazione mitica sarebbe stata sufficiente per annullare una caduta mitica. Con un mitico Adamo, quindi, Cristo potrebbe anche essere – anzi, farebbe meglio ad essere – un semplice simbolo del perdono divino e di una nuova vita. Invece la storia raccontata da Paolo riguarda il problema storico dell’introduzione del peccato, della colpa e della morte nella creazione, un problema che richiedeva una soluzione storica.

Rimuovere il problema storico del peccato di Adamo non rimuoverebbe semplicemente il fondamento logico della soluzione storica data dalla croce e dalla risurrezione. Trasformerebbe il vangelo di Paolo oltre ogni riconoscimento. Da dove vengono il peccato e il male? Se non fossero il risultato dell’atto di disobbedienza di un uomo, sembrerebbero esserci solo due opzioni: o il peccato c’era da prima e il male è parte integrante della creazione di Dio, oppure il peccato è una cosa individuale, portata nel mondo quasi ex nihilo da ogni persona. Il primo è palesemente non cristiano nella sua negazione monista o dualista di un buon Creatore e della sua buona creazione; il secondo assomiglia al pelagianesimo, con individui buoni che diventano peccatori copiando Adamo (e, presumibilmente, diventano giusti copiando Cristo).

La seconda prova che testimonia l’importanza fondamentale di un Adamo storico per la teologia di Paolo è 1 Corinzi 15:21–22 e 45–49. Ancora una volta, Paolo esamina lo stretto parallelismo tra il primo uomo, Adamo, attraverso il quale venne la morte, e il secondo o ultimo uomo, Cristo, attraverso il quale viene nuova vita. Di nuovo, si parla di Adamo allo stesso modo in cui si parla di Cristo. Ancora una volta, Adamo è visto come l’origine della morte, così come Cristo è l’origine della vita.

A questo punto di 1 Corinzi, Paolo è all’apice di una lunga discussione riguardante i problemi che i cristiani di Corinto avevano con il corpo. Come risposta definitiva ai loro problemi pastorali, Paolo si proponeva di dare loro sicurezza nella realtà della loro futura resurrezione corporea, dimostrando il fatto storico della resurrezione corporea di Gesù. La realtà storica della resurrezione di Gesù è il fulcro della sua risposta. Stando così le cose, sarebbe stato l’apice della follia retorica per Paolo tracciare un parallelo tra Adamo e Cristo se avesse pensato che Adamo fosse mitologico. Perché se i due possono essere paralleli, allora la resurrezione di Cristo potrebbe anche essere interpretata come un mito e l’intera lettera di Paolo perderebbe senso, scopo e impatto.

Se ho rappresentato accuratamente la teologia di Paolo in questi passaggi, allora è semplicemente impossibile rimuovere un Adamo storico dal vangelo di Paolo lasciandolo intatto. Farlo lo cancellerebbe irrimediabilmente dalla storia, imponendo un diverso resoconto dell’origine del male che richiederebbe un mezzo di salvezza del tutto diverso.

Esiste un terzo modo?

Denis Alexander ha dichiarato, sostanzialmente elaborando una teoria avanzata da John Stott (Understanding the Bible, p. 49), che esiste un modo per evitare la netta dicotomia tra la visione tradizionale di un Adamo storico e l’opinione che tale posizione sia ora scientificamente insostenibile (Creation or Evolution: Do We Have to Choose?, Alexander, capp. 9–10). Cioè, mentre dovremmo assolutamente vedere Adamo come una figura storica, non dobbiamo però credere che sia stato il primo essere umano. Secondo il modello scelto da Alexander, gli esseri umani anatomicamente moderni sono emersi 200.000 anni fa, con il linguaggio in atto da 50.000 anni. Poi, tra i 6.000 e gli 8.000 anni fa, Dio scelse una coppia di contadini neolitici e a loro si rivelò per la prima volta. Costituì così l’Homo divinus, i primi umani a conoscerlo e ad essere spiritualmente vivi.

La ‘terza via’ di Alexander di tenere un Adamo storico, ma senza credere che sia stato il primo essere umano, non è in grado di fornire una lettura coerente del testo della Genesi e crea più problemi teologici di quanti ne risolva.

È una combinazione ingegnosa, certo, che elude abilmente il baratro teologico aperto dal rifiuto di un Adamo storico. Ma ha creato nuovi grandi problemi. Il primo viene sollevato dalla domanda su come considerare i contemporanei di Adamo, quegli esseri umani anatomicamente moderni che, dice Alexander, avevano già popolato il mondo per decine di migliaia di anni. Egli evita saggiamente di intenderli come niente di meno che pienamente umani, affermando con enfasi che “l’umanità intera, senza alcuna eccezione, è fatta a immagine di Dio, compresi certamente tutti gli altri milioni di persone in vita nel mondo durante il Neolitico” (238). Affermare il contrario lo avrebbe gettato in un pantano particolarmente spiacevole: la popolazione aborigena dell’Australia, che, secondo Alexander, vi abitava già da 40.000 anni prima della nascita di Adamo ed Eva, sarebbe stata altrimenti relegata allo status di animali non-umani. E presumibilmente i genitori di Adamo ed Eva, essendo anch’essi animali non-umani, sarebbero allora, insieme agli aborigeni australiani, una legittima fonte di cibo per un Homo divinus affamato.

Evitando tutto ciò, la proposta di Alexander si fonda, se non altro, su un terreno ancora più pericoloso. La mossa cruciale viene fatta quando spiega cosa distingue esattamente Adamo ed Eva dai loro contemporanei. Quando nacquero, suggerisce, c’era già una vasta popolazione neolitica a immagine di Dio. Quello che poi accadde per distinguere Adamo ed Eva come Homo divinus fu semplicemente che “attraverso la rivelazione di Dio ad Adamo ed Eva […] la comprensione di cosa significasse effettivamente quell’immagine, in pratica, fu loro resa evidente” (238). Non era, quindi, che Adamo ed Eva fossero a quel punto stati appena creati ad immagine di Dio: erano già nati ad immagine di Dio, figli di una lunga stirpe di portatori dell’immagine di Dio. La differenza era che ora capivano cosa ciò significasse (cioè una relazione personale con Dio).

Il primo problema con questa argomentazione è di natura biblica. In Genesi 1 e 2, sono proprio Adamo ed Eva ad essere creati a immagine di Dio (l’evento di Gen. 1:27 viene presentato di nuovo in Gen. 2:18-25). Non è semplicemente che alcuni esseri siano stati creati a immagine di Dio, e che questo fatto potesse essere in seguito realizzato da un paio dei loro discendenti. Al contrario, Genesi 2:7 sembra essere un esempio del testo che fa di tutto per enfatizzare un atto creativo diretto e speciale che ha portato l’uomo Adamo ad esistere. Questo problema potrebbe essere considerato superabile, ma ha creato un secondo problema teologico che sembra insormontabile. Ovvero, se gli esseri umani erano già a immagine di Dio prima di Adamo ed Eva, allora rimaniamo con uno di questi due scenari. O c’era, prima di Adamo ed Eva, un primo essere umano dotato dell’immagine di Dio, e a quel punto ci troviamo con due Adamo (la prima creatura effettivamente ad essere ad immagine di Dio e Adamo, il primo uomo ad immagine di Dio a realizzare cosa ciò significasse), oppure, se l’immagine di Dio era qualcosa che si è evoluto lentamente nell’umanità, allora rimaniamo con un insieme di primi esseri umani a immagine di Dio e molteplici Adamo.

A parte l’assoluto imbarazzo di una tale posizione, le sue conseguenze crescerebbero rapidamente a dismisura. Se, come sostiene Alexander, essere a immagine di Dio significa avere una relazione personale con Dio, allora tutti quegli esseri umani a immagine di Dio che non avevano ricevuto la rivelazione di ciò che questo significava devono aver peccato. Creati a immagine di Dio per relazionarsi con Dio, non erano in relazione con Dio. In effetti, sebbene non usi questa parola, il quadro che Alexander dipinge è quello di un’umanità immersa nell’idolatria. Perché, dice, “le credenze religiose esistevano prima di questo tempo [di Adamo ed Eva], poiché le persone cercavano Dio o gli dei in diverse parti del mondo, offrendo le proprie spiegazioni per il significato della loro vita” (237). Quindi l’umanità preesistente alla caduta aveva già in sé il peccato.

Se Adamo non fosse stato fisicamente il padre di tutti, non avrebbe potuto essere il capo di tutti

Presumibilmente Dio ha ignorato quel peccato (anche se su quale base non ci è stato detto). Ma, se lo avesse fatto, questo sarebbe in contrasto con quanto dice Paolo in Romani 1:18–32. Lì Paolo spiega che l’ira di Dio si rivela contro tutta l’umanità, non per il mancato ascolto di una specifica rivelazione del significato di essere a immagine di Dio, ma per il rifiuto di riconoscere la rivelazione di Dio manifestata nel creato sin dalla creazione del mondo. Infatti, dato Romani 1:18 e seguenti, sembra che l’Homo sapiens pre-adamico religioso/idolatra di Alexander debba essere stato sotto l’ira di Dio. Ma anche se Romani 1 potesse allinearsi con questo modello, sembra quantomeno strano che Dio abbia creato l’opportunità per il peccato e l’idolatria senza neanche fornire una possibilità per la giustizia e la vera conoscenza di Dio, come avrebbe fatto in seguito per Adamo.

E che dire dello stesso Adamo? Quando è stato scelto per ricevere la rivelazione di cosa significhi essere a immagine di Dio, deve essere già stato peccatore. Non si relazionava con Dio come era stato creato per fare. Fu quindi dichiarato temporaneamente senza peccato? O era sempre peccatore, con l’unica differenza che negli eventi di Genesi 3 ha peccato per la prima volta consapevolmente? E se questo è il caso, perché il precedente peccato inconscio di Adamo era scusabile quando successivamente viene detto che il peccato, anche se inconscio, reca colpa (Lev. 5:17; Sal. 19:12)?

Il fatto che Dio crei l’opportunità per il peccato molto prima di creare qualsiasi opportunità per conoscerlo riflette ciò che forse è più preoccupante in questa sintesi: ecco un Dio in qualche modo costretto a lavorare con una situazione tutt’altro che ideale. In effetti in tutta questa proposta si ha la sensazione che Dio debba operare secondo le regole di qualcun altro, come se si trovasse nell’universo di qualcun altro.

Questo emerge chiaramente nei commenti di Alexander sulla creazione della donna. Secondo lui, Eva era una persona con una reale discendenza umana esattamente come Adamo. Non era stata fisicamente tratta dal fianco di Adamo. Invece, afferma, lo scopo di Genesi 2:21 è quello di dichiarare la complementarità maschio-femmina (197). Indubbiamente questo è uno degli scopi di quel testo; tuttavia, rendendo Genesi 2:21 solo mitico/simbolico, Alexander diventa incapace di fondare quella complementarità maschio-femmina in una realtà ontologica. Se Eva avesse un’origine fisica indipendente da Adamo, allora, mentre Dio potrebbe per i suoi stessi imperscrutabili motivi voler affermare la complementarità maschio-femmina, l’autore non avrebbe però una base ontologica per poterlo fare. In altre parole, la sua affermazione qui (e, si deve presumere, almeno alcune delle sue altre affermazioni) è fatta indipendentemente dalla realtà. A tutti gli effetti Dio tira fuori dal nulla la sua teologia. Ma un Dio che è costretto a innestare un significato su eventi (o non-eventi) che non portano in essi stessi un tale significato non sembra un Creatore sovrano.

Infine, il modo in cui il modello di Alexander lo costringe a leggere il testo della Genesi fa pensare che stia cercando di inserire un piolo rotondo in un foro quadrato. La creazione della donna serve ancora una volta da utile esempio: “Quando Adamo riconobbe Eva come ‘ossa delle mie ossa e carne della mia carne’, non stava solo riconoscendo una compagna Homo sapiens — ce n’erano molti intorno — ma una compagna di fede” (237). Questo non solo ignora il contenuto specificatamente fisico di ciò che viene detto (qualcosa di essenziale per i successivi riferimenti biblici a questo passaggio, cfr. 1 Cor. 6:16–17; Ef. 5:28–31), ma ha anche poco senso per la precedente ricerca di un “aiutante” per Adamo. Se c’è qualcosa che Genesi 2:18–20 mostra, è che non era presente nessun altro membro della specie di Adamo. Se si trattava semplicemente della ricerca di un altro credente, perché guardare tra le bestie dei campi e gli uccelli del cielo? Perché non menzionare gli umani che furono portati ad Adamo? E Dio non avrebbe potuto semplicemente rivelare il significato di essere a immagine di Dio a uno qualsiasi degli Homo sapiens intorno, producendo così il necessario “aiutante”?

Un ragionamento simile guida l’ interpretazione di Alexander riguardo Genesi 6:2, dove i figli di Dio si sposano con le figlie degli uomini. Per come la vede lui, questo è un semplice caso della famiglia spiritualmente viva di Adamo che si sposa con gli Homo sapiens contemporanei che non avevano ricevuto la rivelazione di Dio e quindi erano spiritualmente morti. L’applicazione è chiara: “Allora, come ora, non sposate non credenti”, perché “è chiaro che segue il giudizio, come descritto in 6:5ss con il racconto del diluvio” (199). Tuttavia, se Genesi 6 riguardava i devoti che sposavano non credenti al di fuori della discendenza di Adamo, perché il giudizio del diluvio non seguì quando il “devoto” Caino prese una moglie al di fuori della discendenza di Adamo, come sostiene Alexander (241)?

La mia idea è che, nonostante tutta la sua ingegnosità, la “terza via” di Alexander di tenere un Adamo storico, ma senza credere che sia stato il primo essere umano, non sia in grado di fornire una lettura coerente del testo della Genesi e crei più problemi teologici di quanti ne risolva. Alcuni di questi problemi (come la sua lettura di Genesi 6) sono certamente piccoli, poco più che indicazioni che il suo modello è probabilmente intrinsecamente incoerente e contrastante con il racconto biblico. Altri (come le implicazioni per la sua comprensione di Dio come Creatore sovrano) sono così seri da far sembrare la sua argomentazione insanabile.

Adamo ha generato l’intera razza umana

Adamo come capo dell’umanità

I dibattiti sul rapporto di Adamo con il resto dell’umanità tendono sempre a tornare al vecchio dibattito tra Agostino e Pelagio. Pelagio non aveva messo in discussione la connessione fisica tra Adamo e il resto dell’umanità. Ma ha sostenuto, ai fini della salvezza, che qualsiasi connessione di questo tipo fosse quasi del tutto irrilevante. Secondo Pelagio, la salvezza e la dannazione sono determinate dall’individuo dall’inizio alla fine: una persona è condannata non in virtù di un legame di fondo con Adamo, ma perché imita il suo peccato; allo stesso modo, una persona è salvata non in virtù di un legame di fondo con Cristo, ma poiché imita la sua giustizia. In altre parole, la salvezza e la dannazione non riguardano l’avere lo status di un altro, bensì l’imitazione di colui il cui destino desideri condividere. La risposta di Agostino ha mostrato (tra le molte altre cose) che questo semplicemente non poteva essere in linea con Romani 5:12–21, dove si dice che le persone sono condannate sulla base del peccato di Adamo e giustificate sulla base della giustizia di Cristo. Secondo il modo in cui Agostino intendeva Paolo, Dio si occupa di tutta l’umanità attraverso uno dei due uomini: Adamo, l’uomo originario e capo originario di tutta l’umanità, o Cristo, il primo e il capo della nuova umanità ricreata da Dio.

Perché le domande sull’identità di Adamo e sul suo legame con il resto dell’umanità dovrebbero farci tornare al dibattito tra Agostino e Pelagio? Sembrano esserci due ragioni: (1) le questioni del dibattito sono inevitabilmente fondamentali, in quanto rappresentano realmente un dibattito tra il vangelo cristiano e un approccio completamente diverso a Dio e alla salvezza; (2) i termini del dibattito riescono ancora oggi ad affrontare le formulazioni moderne più sofisticate. Si prenda, ad esempio, l’idea che Adamo ed Eva siano simboli di quella che era, in effetti, un’intera popolazione (probabilmente neolitica), e che il peccato emerse in quella popolazione e da lì si diffuse a tutta l’umanità. Qui il problema del pelagianesimo è stato semplicemente spostato dall’intera umanità a pochi primitivi così lontani nel tempo che il problema appare trascurabile.

Sembra che i termini del dibattito tra Agostino e Pelagio siano così difficili da eludere che la negazione di Adamo come capo dell’umanità e che ne determina il destino porti inevitabilmente a interpretare il destino personale in maniera individualistica, almeno in una certa misura. E quanto maggiore è la portata dell’autodeterminazione personale, tanto maggiore deve essere la tendenza a considerare Cristo più come esempio che come Salvatore.

L’autorità ha radici ontologiche

Ancora una volta Denis Alexander ha astutamente evitato tali insidie nella sua sintesi. Dimostrando di essere ben consapevole della fondamentale necessità teologica di riconoscere Adamo come capo dell’antica umanità, propone un modo diverso di integrare quel dato teologico con la sua opinione sul fatto che Adamo non fu il primo essere umano. Il modo in cui lo fa è semplicemente scindendo lo status legale di Adamo come capo dell’umanità da qualsiasi idea che Adamo fosse il capo o padre naturale della razza umana. Ad un certo punto, quindi, Dio costituì Adamo come capo federale non solo di ogni Homo divinus, ma anche di ogni Homo sapiens. In quanto tale, quando Adamo peccò per la prima volta (consapevolmente), Dio avrebbe potuto imputare quel peccato a ogni Homo sapiens, nonostante la loro mancanza di connessione ontologica con Adamo. A quel punto, l’Homo sapiens non illuminato dell’Australia (per scegliere un gruppo di persone precedentemente menzionato non collegato alla comunità neolitica di Adamo) divenne colpevole davanti a Dio.

Tuttavia, separando l’autorità federale di Adamo dalla sua autorità fisica e naturale, Alexander si imbatte in problemi che ci sono ormai familiari. La prima è che, ancora una volta, Dio sta facendo affermazioni teologiche che non hanno basi ontologiche. Adamo viene dichiarato essere qualcosa (cioè il capo dell’umanità) che non è nella realtà fisica. Di conseguenza, l’imputazione del peccato da parte di Dio agli ignari aborigeni australiani sembra arbitraria. Non c’è alcuna base per una connessione tra Adamo e gli Homo sapiens all’altra estremità della terra, e quindi la dichiarazione di Dio che questi dovrebbero condividere la colpa di Adamo si basa su nient’altro che su un capriccio divino.

Tuttavia, non è così che funziona il concetto di autorità nelle Scritture. È specificatamente la progenie ad essere colpita colpita dal modo in cui Dio giudica gli individui nella Bibbia (da qui l’ossessione per le genealogie nell’Antico Testamento per le genealogie). Nella scelta degli esempi c’è l’imbarazzo della scelta, ma si consideri come le benedizioni su Abraamo, Giacobbe e Davide influiscono sulla loro progenie, o come la maledizione su Ioiachin influisca sulla sua. Al contrario, Levi viene considerato come se avesse agito “in” Abraamo solo perché era “ancora nei lombi” di Abraamo (Ebrei 7:9-10). In altre parole, l’autorità o la natura sociale di un individuo non è mai presentata come separabile da connessioni reali.

Se dovessimo passare dal parlare di come nasciamo “in Adamo” a come i cristiani sono “in Cristo”, la necessità di una vera connessione dovrebbe diventare più chiara. Nel Nuovo Testamento, ai cristiani non viene mai data nuova nascita o giustizia sulla base di un decreto divino che non ha fondamento in ciò che è realmente accaduto loro. Invece, mediante lo Spirito, si stabilisce una vera e propria unione ontologica con Cristo, e il credente è incorporato nel corpo di Cristo. Se lo Spirito non stabilisse tale unione, la rettitudine del cristiano rimarrebbe soltanto una finzione legale. E il principio funziona in entrambe le direzioni: che si tratti dell’unione con Cristo mediante lo Spirito o dell’unione con Adamo mediante la carne, ciò che è essenziale è la connessione ontologica. Né tantomeno può essere una finzione legale il fatto che il Giudice di tutta la terra debba fare giustizia.

C’è un altro problema nel suggerire che Dio potesse stabilire una guida federale (per Adamo o per Cristo) senza fornire alcuna base ontologica per questo. Riprendiamo l’esempio dell’unione del cristiano con Cristo come il parallelo dell’unione con Adamo. Immagina che Dio stabilisca la giustizia di un individuo mediante un libero decreto divino, ma senza che lo Spirito unisca effettivamente il cristiano a Cristo. Cosa mancherebbe? Lo Spirito. Il modello quindi non sarebbe trinitario. Se il parallelo Adamo-Cristo di Paolo è valido, allora il suggerimento che un Homo sapiens possa essere unito ad Adamo senza alcuna connessione reale ci porta in una comprensione sub-trinitaria della salvezza.

Vale la pena notare come il ragionamento in 1 Corinzi 11:3 implichi che, proprio come sarebbe strano permettere a un marito di essere capo di sua moglie senza alcun legame ontologico con lei, così sarebbe preoccupante suggerire che Dio Padre, come capo di Cristo, non abbia bisogno di avere una connessione ontologica con suo Figlio. Importare una visione così ontologicamente leggera dell’autorità nella Trinità porterebbe all’arianesimo o al triteismo. Naturalmente in entrambi i casi nessuno sta cercando di fare una cosa del genere. Ma abbiamo sicuramente il diritto di chiederci perché l’autorità sia trattata così diversamente nelle diverse situazioni.

Biblicamente e teologicamente, quindi, sembra che se Adamo non fosse stato fisicamente il padre di tutti, non avrebbe potuto essere a capo di tutti. Così, a prescindere dall’evidenza biblica circostanziale che sembra suggerire che Adamo sia l’unico uomo da cui tutta l’umanità è stata tratta (Atti 17:26), teologicamente siamo obbligati a dire che poiché Adamo è chiaramente visto come il capo di tutta l’umanità, egli deve essere il padre di tutta l’umanità.

Cristo ha assunto la nostra umanità

Già prima che Gregory Nazianzen articolasse in maniera chiara questo pensiero, buona parte della cristologia della prima chiesa post-apostolica ne era plasmata: tutto ciò che Cristo non assunse nella sua incarnazione non poteva essere “guarito” o salvato (Schaff, 438). In sostanza, era un tentativo di sistematizzare il pensiero di Ebrei 2:11–17 secondo cui Gesù doveva essere uno con coloro i quali era venuto a salvare, condividendo la loro carne e il loro sangue in modo che questo stesso sangue e questa stessa carne potessero essere portati attraverso la maledizione della morte verso la nuova vita della risurrezione. Così nell’incarnazione Cristo non assunse la carne angelica, che non ci serve a nulla, ma la nostra carne, perché Egli potesse essere veramente come noi e salvarci realmente. È stata questa teologia a proteggere la chiesa da quelle eresie che hanno indebolito il concetto della vera umanità di Cristo, minando così la salvezza che egli ha portato.

Se Cristo non avesse assunto la mia carne, ma la carne di un’altra umanità, allora non sarebbe il mio redentore consanguineo.

Se, tuttavia, Adamo non era il capostipite di tutta l’umanità, ma semplicemente un membro di uno dei tanti rami sconnessi dell’Homo sapiens, allora la massima di Nazianzen inizierebbe a sembrare piuttosto preoccupante. Se Cristo non avesse assunto la mia carne, ma la carne di un’altra umanità, allora non sarebbe il mio redentore consanguineo. Perché se la Chiesa post-apostolica aveva ragione nella sua lettura di Ebrei 2 e nella sua comprensione dell’incarnazione, ciò che importava non era che Cristo avesse assunto una qualsiasi umanità, ma proprio la nostra umanità.

Verdetto: L’Adamo storico ha rilevanza

Quando le dottrine teologiche sono separate dalla base storica, è sempre più facile armonizzarle con altri dati e ideologie. E, naturalmente, ci sono molte dottrine che per natura non sono direttamente storiche.

La mia lotta è stata il sostenere che l’identità di Adamo e il suo ruolo di progenitore fisico della razza umana non sono dottrine così libere o separabili. La realtà storica di Adamo è essenziale per preservare un resoconto cristiano del peccato e del male, una comprensione cristiana di Dio e il fondamento logico dell’incarnazione, della croce e della risurrezione. La sua paternità fisica di tutta l’umanità preserva la giustizia di Dio nel condannarci in Adamo (e, di conseguenza, la giustizia di Dio nel redimerci in Cristo), e salvaguarda la ragione fondamentale dell’incarnazione. Nessuna di queste due convinzioni può essere reinterpretata senza le più gravi conseguenze.


Note dell’editore:

Questo articolo è stato adattato da “Should Christians Embrace Evolution?” di Michael Reeves, editato da Norman C. Nevin (P&R, 2011). Usato su autorizzazione.

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