Soffro di ofidiofobia, ovvero la paura dei serpenti. Pur essendo una delle mie più grandi paure, mi conforta sapere che se dovessi essere morso da un serpente velenoso, potrei farmi somministrare un antidoto, ovvero una sostanza in grado di antagonizzare (quindi interrompere) l’effetto del veleno.
Un’altra mia paura, che credo abbiano tanti pastori e credenti, è quella del fallimento spirituale. Per fallimento non intendo il peccato che commettiamo anche se cristiani, nati di nuovo. Sappiamo bene che fino alla nostra morte o fino al ritorno del Signore Gesù il processo di santificazione sarà sempre parziale, in attesa della glorificazione completa.
Per fallimento non intendo nemmeno il mancato raggiungimento di un obiettivo o il mancato successo di un progetto. Ci sono tanti motivi, a volte anche buoni motivi, per cui un progetto o un obiettivo debba cambiare o essere rimosso.
Per fallimento spirituale intendo una grave convivenza con il peccato, tale, per esempio, da giustificare una squalifica, temporanea o meno, dal servizio.
Abbiamo tutti sentito parlare di fallimenti pastorali causati da gravi peccati sessuali, morali, comportamentali o di leadership. Fallimenti che, umanamente parlando, hanno avuto immediatamente grandi ripercussioni su ministeri che sono stati costruiti nel corso di decenni di servizio.
È una paura che mi accompagna e immagino accompagni tanti di noi. Non solo per le ripercussioni di un fallimento, ma soprattutto per le ragioni del fallimento: anni di ribellione spirituale e convivenza con il peccato, al punto che il peccato arriva a controllare la vita di una persona che è stata riscattata dal prezioso sangue di Cristo.
Come si può evitare tutto questo? Qual è l’antidoto al fallimento spirituale?
Una precisazione
Le persone che sono state salvate da Cristo e poi falliscono vengono comunque accolte da Dio come figli per i meriti di Cristo Gesù.
Prima di rispondere alla domanda, una precisazione. La buona notizia di Cristo ci assicura che è la nostra unione con lui a definire la nostra identità e il nostro destino. I cristiani sono uniti a Cristo ed è questo, in ultima analisi, a stabilire il modo in cui siamo visti da Dio. Le persone che sono state salvate da Cristo e poi falliscono vengono comunque accolte da Dio come figli per i meriti di Cristo Gesù e godranno per sempre del riposo eterno. È un utile promemoria, sia per gli errori che ho commesso nel passato sia per quelli che commetterò in futuro.
Inoltre, solo Dio è in grado di redimere delle situazioni malvagie e fallimentari e trarne qualcosa di buono. Abramo, Davide, Pietro sono solo alcuni degli esempi biblici che ci ricordano questa incredibile verità. Il Vangelo di Cristo è buona notizia anche nel fallimento e la grazia sovrabbonda dove il fallimento abbonda. Detto questo, è nostro compito combattere strenuamente per evitare il fallimento (1 Corinzi 9:27), ricordandoci però che ogni nostra vittoria è il frutto della bontà di Dio.
Il problema
Secondo Agostino l’orgoglio è la radice di ogni peccato. Egli afferma:
«L’orgoglio è l’inizio del peccato. E cos’è l’orgoglio se non il desiderio di un’esaltazione ingiusta? E questa è un’esaltazione ingiusta: quando l’anima abbandona Colui al quale dovrebbe aderire come fine, e diventa una specie di fine a se stessa.»
Il fallimento cristiano è sempre causato dall’orgoglio del cuore.
Il fallimento cristiano è sempre causato dall’orgoglio del cuore. Il peccato è dare retta al proprio io invece che a Dio, è decidere autonomamente che il proprio pensiero, il proprio desiderio siano migliori e più soddisfacenti dei pensieri e desideri del Creatore.
La differenza tra l’antidoto al veleno dei serpenti e l’antidoto al peccato è che l’antidoto per serpenti viene somministrato dopo che il morso del serpente ha introdotto il veleno nel nostro organismo, mentre il veleno del peccato è già dentro di noi. La nostra natura carnale orgogliosa, anche se redenta dall’opera dello Spirito Santo, continua ad incalzare, spingere ed ergersi, ed è alla base di ogni fallimento cristiano.
L’antidoto al fallimento
Se c’era una persona che aveva motivo di essere orgogliosa è Giovanni Battista. Gesù stesso infatti lo descrive in questo modo: «In verità io vi dico che fra i nati di donna non è sorto nessuno maggiore di Giovanni il battista» (Matteo 11:11).
Vista l’importanza del suo lavoro, Giovanni Battista avrebbe potuto giustificare un pò di orgoglio nella sua vita. Avrebbe potuto cercare un pò di gloria personale o di conforto materiale. Avrebbe potuto mascherare un carattere poco mansueto sulla base dei successi ottenuti. Avrebbe potuto giustificare delle relazioni inopportune o una mala gestione economica. Invece il ministerio di Giovanni Battista non è mai stato contraddistinto da orgoglio o superbia.
Quale antidoto al fallimento ha usato Giovanni?
Credo che l’inizio del Vangelo di Giovanni, aiuti ad individuare una risposta a questa domanda. Giovanni prima afferma di non essere il Cristo (1:20) e poi capisce che Gesù di Nazaret è il Figlio di Dio (1:33-34).
Poi, «il giorno seguente Giovanni era di nuovo là con due dei suoi discepoli; e fissando lo sguardo su Gesù, che passava, disse: “Ecco l’Agnello di Dio!” I suoi due discepoli, avendolo udito parlare, seguirono Gesù» (Giovanni 1:35-37).
L’antidoto al fallimento di Giovanni è l’umiltà spirituale, incentrata e forgiata dalla persona e l’opera di Cristo Gesù.
L’autore del Vangelo dice che Giovanni guardò Gesù. L’evangelista usa un verbo che descrive uno sguardo fisso, sostenuto e concentrato. Un’azione deliberata, caratterizzata da un profondo discernimento spirituale. Osservando Gesù, Giovanni capisce chi è di fronte a lui e le conseguenze di tale apparizione. Pertanto ogni traccia di orgoglio e pretesa umana lascia spazio all’umiltà. L’antidoto al fallimento di Giovanni è l’umiltà spirituale. Non un’umiltà fine a se stessa, ma un’umiltà incentrata e forgiata dalla persona e l’opera di Cristo Gesù. La meditazione del Battista sul Cristo, venuto per liberare il suo popolo attraverso il proprio sacrificio, non lascia spazio per gloria personale, convivenza con il peccato, gestioni immorali di relazione o risorse, atteggiamenti ostili. Giovanni è talmente ripieno di Gesù, talmente riconoscente e gioioso per l’arrivo dell’Agnello che toglie il peccato dal mondo, da spostare l’attenzione di tutti, a partire dalla sua, verso la gloria di Gesù. Giovanni dimostra praticamente la sua umiltà spirituale indirizzando i suoi discepoli verso Gesù, sapendo che quello è l’obiettivo di ogni servizio: del suo, del tuo e del mio.
Il nostro servizio, la nostra chiamata, la nostra vita deve essere segnata da un’umiltà spirituale che sgorga dalla pienezza di aver conosciuto personalmente Cristo.
Ovviamente un solo articolo non è sufficiente per esplorare a fondo tutte le sfaccettature di un tema così importante. Però l’esempio di Giovanni, di un ministero umile, incentrato e ripieno di Cristo, è fondamentale per noi cristiani. Il nostro servizio, la nostra chiamata, la nostra vita devono essere segnati da un’umiltà spirituale che sgorga dalla pienezza di aver conosciuto personalmente Cristo. Ecco l’unico antidoto in grado di antagonizzare il pericoloso veleno del peccato ed evitare il fallimento spirituale.
Le parole di Giovanni, riportate al capitolo 3, riassumono bene questa umiltà gioiosa e soddisfacente:
«Bisogna che egli cresca e che io diminuisca. Colui che viene dall’alto è sopra tutti; colui che viene dalla terra è della terra e parla come uno che è della terra; colui che viene dal cielo è sopra tutti.» (Giovanni 3:30-31)
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