William Carey (1761–1834) è spesso definito il padre delle missioni moderne. In effetti, si dimostrò decisamente innovativo nel fondare nel 1972 la Baptist Missionary Society e nel tradurre pionieristicamente la Bibbia in India. Carey ha anche aperto nuovi orizzonti nel 1800 quando ha contribuito a lanciare la missione di Serampore, ovvero una squadra di tre famiglie che hanno vissuto e servito insieme nella colonia danese di Serampore, vicino a Calcutta.
Non solo a quei tempi era innovativo formare una squadra missionaria, ma la bozza di Carey del 1805 del “Serampore Form of Agreement” era davvero in anticipo sui tempi. Dopo una breve introduzione che riconosce la sovranità di Dio nella salvezza e l’imperativo di proclamare il vangelo, Carey ha delineato 10 “grandi principi”, un mix di convinzioni, valori e strategie, per il team a Serampore in India.
Articolo 1: Perdizione
Nel sottolineare il “valore delle anime”, Carey volle tenere il focus sul fatto che i popoli dell’india fossero spiritualmente perduti ed il loro destino eterno, in modo che la squadra lavorasse con urgenza. Senza perdere quella concentrazione, ha anche incoraggiato i suoi colleghi con la verità della risurrezione e con la potenza di Dio nel salvare. Come riflesso della sua teologia riformata, questi valori informano anche la sua famosa massima
“Aspettati grandi cose da Dio,
intraprendi grandi cose per Dio“.
Articolo 2: Etnografia
L’accordo auspicava l’apprendimento delle culture, delle visioni del mondo e delle religioni indiane per “essere in grado di conversare con [i popoli indiani] in modo intelligibile”. Carey invitò la sua squadra ad essere studenti della cultura che li ospitava dialogando con la gente del posto, leggendo libri di autori indiani e coltivando l’abitudine all’osservazione. Oggi chiamiamo tutto questo “studio etnografico” che porta alla comprensione culturale. Sebbene Carey non abbia mai ricevuto un’istruzione formale in antropologia culturale, grazie a quest’opera ha servito per 30 anni come professore di lingue e cultura al Fort William College.
Carey invitò la sua squadra ad essere studenti della cultura che li ospitava dialogando con la gente del posto, leggendo libri di autori indiani e coltivando l’abitudine all’osservazione
Articolo 3: Contestualizzazione
Carey invitò la squadra di Serampore a emulare l’apostolo Paolo, diventando “ogni cosa a tutti” (1 Corinzi 9:22). Alla costruzione di ponti Carey aggiunse il dover “astenersi da quelle cose che potrebbero aumentare… pregiudizi contro il vangelo”. Nel contesto Indù, questo significava evitare la crudeltà verso gli animali e astenersi dall’attaccare le credenze Indù.
Articolo 4: Diligenza
Carey ha riconosciuto che la squadra avrebbe potuto sentirsi facilmente soddisfatta o addirittura affaticarsi fisicamente a causa del caldo clima indiano, con il risultato di dedicare un’attenzione mediocre al ministero. Ha allora esortato i suoi colleghi a perseguire “tutte le opportunità di fare il bene”, a lavorare sodo ed essere diligenti ogni giorno nella predicazione del vangelo e nello svolgimento dei loro ministeri.
Articolo 5: Proclamazione
Sebbene Carey ritenesse fondamentale comprendere e collegarsi alla cultura indiana, credeva che il fulcro centrale del loro messaggio – “il grande argomento della nostra predicazione” – dovesse essere “Cristo crocifisso”. Seguendo gli apostoli, Paolo, i riformatori protestanti e John Wesley, Carey credeva che il messaggio più importante che un Indù potesse sentire fosse che Cristo era morto e aveva pagato la pena per i peccati.
Articolo 6: Relazioni
Oltre ad ascoltare il messaggio evangelico, Carey credeva che gli indiani dovessero osservare la realtà di Cristo nel team di Serampore. Ciò poteva avvenire solo attraverso una deliberata vicinanza relazionale. Carey voleva che i loro amici indiani “si sentissero a casa in nostra compagnia” e che il team fosse “di facile accesso”. In questo senso, hanno imitato l’atteggiamento di Paolo nei confronti dei Tessalonicesi: “Così, nel nostro grande affetto per voi, eravamo disposti a darvi non soltanto il vangelo di Dio, ma anche le nostre proprie vite, tanto ci eravate diventati cari.” (1 Tessalonicesi 2:8).
Articolo 7: Discepolato
Carey sottolineava l’importanza del discepolato: “edificare e vegliare sulle…anime”. Come genitori spirituali, il gruppo doveva essere paziente e camminare con i nuovi credenti. Dovevano educare i loro discepoli nelle Scritture e seguire l’esempio di Cristo. Carey credeva che il discepolato dovesse essere olistico. Oltre a insegnare le Scritture, il gruppo avrebbe aiutato i propri discepoli a diventare buoni cittadini, a onorare le autorità e a trovare un impiego remunerativo.
Articolo 8: Indigeneità
Nell’articolo più lungo dell’accordo, che occupa quasi un quarto dell’intero documento, Carey sottolineava che l’India doveva essere raggiunta attraverso missionari indigeni. Ha scritto: “È solo per mezzo di predicatori indigeni che possiamo sperare nella diffusione universale del vangelo in questo immenso continente”.
Oltre ad ascoltare il messaggio evangelico, Carey credeva che gli indiani dovessero osservare la realtà di Cristo nel team di Serampore.
Anticipando la strategia delle tre autonomie articolata a metà del XIX secolo (che le chiese dovrebbero essere autodirette, autosufficienti e autopropaganti), Carey riteneva che i leader delle chiese nazionali dovessero “scegliere i propri pastori e diaconi tra i propri compatrioti, affinché la parola sia predicata in modo chiaro e le ordinanze di Cristo amministrate, in ogni chiesa, dal ministro nativo”. Questo doveva essere fatto “senza l’interferenza” di missionari stranieri.
Oltre a mettere da parte i pastori nazionali, i missionari indiani avrebbero dovuto essere mandati “ai confini” del paese, immergendosi nella cultura e predicando il vangelo. Con questi valori, Carey ha anticipato la visione di Hudson Taylor per raggiungere tutta la Cina e la parola d’ordine della conferenza missionaria mondiale di Edimburgo del 1910, “l’evangelizzazione del mondo in questa generazione”.
Articolo 9: Traduzione
Per raggiungere tutta l’India, l’équipe di Serampore doveva “lavorare con tutte le sue forze per trasmettere le traduzioni delle sacre Scritture” in ogni lingua nazionale. Sebbene Carey non avesse una formazione linguistica, lavorò alla traduzione della Bibbia in 36 lingue indiane, inclusa una Bibbia completa in tre lingue e un Nuovo Testamento completo in 23 lingue. Una volta completata la traduzione, Carey sviluppò anche una strategia per distribuire le Scritture in tutto il paese.
Articolo 10: Spiritualità
Carey esortava a realizzare l’opera missionaria in India attraverso la preghiera fervente e la “coltivazione della religione personale”. Per essere missionari fedeli e persino efficaci, il team di Serampore doveva prima occuparsi della propria vita spirituale.
Ancora prezioso
Carey concluse l’accordo con l’impegno a proseguire l’opera missionaria per la gloria di Dio.
La comunità di Serampore ha ricordato nel tempo la propria visione e la propria vocazione, leggendo il documento tre volte l’anno durante il culto del Giorno del Signore.
Mentre alcuni dei principi di Carey (ad esempio, studio etnografico, missionari nazionali e traduzione della Bibbia) erano piuttosto innovativi per le missioni dell’inizio del XIX secolo, l’accordo era probabilmente ancora più rivoluzionario perché integrava in un unico documento la spiritualità cristiana, la passione per la gloria di Dio, il fardello per le anime, la riflessione teologica e quella missiologica. L’accordo è diventato per la squadra di Serampore un piano strategico conciso, un memorandum d’intesa. Rimane ancora oggi un utile modello per le équipe missionarie ed è degno della nostra attenta riflessione.
Apparso originariamente in lingua inglese su The Gospel Coalition (USA)