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Immaginate quattro chiese stereotipate: (1) la “Chiesa del Vangelo della prosperità”, che vi esorta a nominare e ricevere qualsiasi cosa preghiate, yacht compreso; (2) la “Chiesa nazionalistica”, che confonde Chiesa e Stato; (3) la “Chiesa della mensa dei poveri”; e (4) la “Chiesa che sostiene l’immoralità”, dove “l’amore vince” sempre sulla dottrina (pp. 19-22).

Che cosa hanno in comune queste quattro chiese cosí diverse? Secondo Nick Roark e Robert Cline, mancano di una solida base di teologia biblica (pp. 101-11). Non è che nessuna di queste chiese creda nella Bibbia, ma ognuna, a modo suo, non ne coglie il punto principale. Nessuna riesce a capire come i 66 libri della Bibbia presentino un’unica storia che culmina in Gesù Cristo, e come questa unità ci aiuti a comprendere e applicare correttamente tutte le parti.

Roark, pastore della Franconia Baptist Church di Alexandria, Virginia, e Cline, direttore generale dell’International Mission Board della SBC [Southern Baptist Convention], ritengono che la teologia biblica sia un segno caratteristico di una chiesa sana. Il loro nuovo libro, Biblical Theology: How the Church Faithfully Teaches the Gospel [La teologia biblica: il modo in cui la Chiesa insegna fedelmente il vangelo], fa parte della serie di 9Marks, Building Healthy Churches [Edificare chiese sane] pubblicato da Crossway, la quale consiste in piccoli volumi che illustrano ciascuno dei Nove segni caratteristici di una Chiesa Sana (e qualcuno in più) di Mark Dever.

Fornirò un breve riassunto prima di evidenziare alcuni punti di forza e alcuni punti di lieve debolezza.

Cosa troverete

Questo breve libro spiega perché la teologia biblica è necessaria, che cos’è e come essa modella l’insegnamento e la missione della Chiesa.

Nel capitolo 1, la necessità di una teologia biblica viene illustrata mostrando come ognuna delle quattro chiese sopra menzionate non colga il punto principale della Bibbia, e come la teologia biblica ci aiuti a mantenere fondamentale ciò che è fondamentale. Gli autori sono tuttavia consapevoli di non aver ancora spiegato cosa sia la teologia biblica (p. 22).

Troviamo questo al capitolo 2, dove definiscono sinteticamente la teologia biblica come “il percorso scritturale che conduce a Gesù” (p. 23). O più dettagliatamente:

“La teologia biblica è un modo di leggere la Bibbia come un’unica storia scritta da un unico autore divino che culmina in chi è Gesù Cristo e in ciò che egli ha fatto, in modo che ogni parte della Scrittura sia compresa in relazione a lui. La teologia biblica ci aiuta a comprendere la Bibbia come un grande libro con tanti piccoli libri che raccontano un’unica grande storia.” (p. 26)

Nei capitoli 3 e 4, una parte significativa del libro è dedicata allo svolgimento di questa “grande storia”. Il capitolo 3 riguarda l’Antico Testamento, presentato in modo creativo come: “Il Re … crea e fa alleanze, maledice, giudica, benedice, salva, comanda, guida, governa, scaccia e promette” (pp. 31-55). Il capitolo 4 tratta del Nuovo Testamento, come il Re che “arriva, soffre e salva, invia, regna e ritorna” (pp. 57-74). Fedele allo scopo del libro di equipaggiare la Chiesa, questi capitoli sono alternati da note pratiche intitolate “Consigli per la predicazione e l’insegnamento”.

La teologia biblica ci aiuta a comprendere la Bibbia come un grande libro con tanti piccoli libri che raccontano un’unica grande storia.

Nel capitolo 5, Roark e Cline spiegano come la teologia biblica modella l’insegnamento della chiesa, proteggendola dal “proof-texting” [il citare dei versetti biblici, presi fuori dal loro contesto, per sostenere una determinata dottrina] (pp. 76-81) e dal moralismo (pp. 81-88). Il capitolo 6 si occupa di come la teologia biblica modella la missione della Chiesa, diagnosticando in particolare i problemi delle quattro chiese citate all’inizio. Il libro si chiude con un’appendice che illustra come predicare vari testi in modo biblico-teologico.

Cosa c’è di utile

Da un lato, i lettori di lunga data della teologia biblica non troveranno molte nuove informazioni in questo volume. Lo stesso scopo specifico del libro non è del tutto unico, dal momento che Michael Lawrence ha scritto un libro simile per 9Marks nel 2010, intitolato Biblical Theology in the Life of the Church. [Teologia biblica nella vita della chiesa]. Il presente libro ha il vantaggio, rispetto a quello di Lawrence, di essere più sintetico e accessibile per i normali membri di chiesa, che mi immagino fosse il loro obiettivo. Se io volessi insegnare a un gruppo di liceali il significato e l’attinenza della teologia biblica per la chiesa locale, questo sarebbe il libro da usare. Per i pastori, consiglierei ancora Lawrence. Idealmente, direi di leggerli entrambi.

Il capitolo 5 è fondamentalmente un mini-corso di ermeneutica, che spazia dal filo rosso di Rahab alle cinque pietre di Davide, e da solo potrebbe costituire un utile manuale su come predicare Cristo (anche se tra poco farò presente qualche riserva). Utile a questo proposito è anche l’appendice dei casi di studio, che fornisce esempi di come predicare, in modo biblico-teologico, testi specifici (ad esempio Proverbi 2:1-6; Salmo 47:8).

Nel complesso, credo che il libro sia più convincente quando applica la teologia biblica alla missione della Chiesa. Roark e Cline ci mostrano i pericoli di un’escatologia “troppo realizzata” [il considerare cose promesse per il futuro già presenti ora] nella Chiesa del Vangelo della prosperità, il posto della chiesa come nuovo Israele in contrasto con la Chiesa “nazionalistica”, i pericoli della minimizzazione della sofferenza eterna nella Chiesa della mensa dei poveri, e le insidie della mondanità nella Chiesa che sostiene l’immoralità (pp. 101-10). Ho particolarmente apprezzato la loro discussione sulla missione della Chiesa di fare discepoli quando è riunita, e di essere discepoli quando è sparpagliata (pp. 111-14). Anche se una discussione così breve non può rispondere a tutte le domande spinose su quello in cui dovrebbe essere coinvolta la Chiesa come istituzione, fornisce un buon quadro di riferimento per affrontarle.

Dove si dovrebbe integrare

Non trovo grandi difetti in questo libro. Ho solo qualche riserva su alcuni dei suoi consigli di come predicare in modo biblico-teologico. Sospetto che quello che sto cercando di descrivere sia un senso di familiarità generato da quindici anni di lettura di libri che mi dicono come non predicare Davide e Golia.

Ad essere onesti, Roark e Cline sono solitamente attenti a dare diverse sfumature alle loro affermazioni. Per esempio: “Il senso del brano non è semplicemente quello di evidenziare il coraggio di Davide” (p. 81, enfasi mia). E ancora: “È vero che Davide fornisce un esempio positivo per i credenti” (p. 82).

Sono affermazioni equilibrate (anche se altre lo sono di meno). Tuttavia, temo che tali affermazioni possano essere facilmente soffocate dall’attacco incessante all’imitazione del carattere come moralismo.

Non che io pensi che gli autori si stiano battendo contro un mulino a vento. So che la predicazione moralistica è dilagante in alcuni ambienti, però non nel mio. Forse questa è la fonte della mia angoscia per la “predicazione storico-redentiva”: forse sono troppo protetto. Forse queste cose sono così radicate nei predicatori che ascolto che sentire qualcuno che mette in guardia ancora una volta contro “l’essere come Davide” è come picchiare un cavallo morto, quando in realtà il cavallo è vivo e vegeto in pascoli più secchi.

Perché la verità è che, nella mia limitata esperienza, non sono sicuro di aver mai sentito un predicatore sostenere che lo scopo di 1 Samuele 17 fosse “semplicemente quello di evidenziare il coraggio di Davide”. Ma ho sentito uomini (me compreso) predicare sermoni davvero mediocri nel sincero tentativo di predicare la teologia biblica. Come lamentava Carl Trueman:

“Un conto è un esperto di teologia biblica che la predichi settimana dopo settimana; un altro è che provi a far lo stesso un suo seguace meno capace. Conosciamo tutti la vecchia barzelletta del fondamentalista cristiano che, alla domanda su cosa fosse grigio, peloso e vivesse su un albero, rispondeva: ‘Sembra proprio uno scoiattolo, ma so che la risposta a ogni domanda dev’essere ‘Gesù’’. Uno dei problemi che ho con una dieta incessante di sermoni biblico-teologici da parte di predicatori meno talentuosi (cioè, la maggior parte di noi) è la loro noiosa mediocrità: contorsioni artificiose di brani che sono atte a produrre come risposta “Gesù” ogni settimana. Non importa quale sia il testo, la predica è sempre la stessa.”

So che questo non è ciò che Roark e Cline vogliono. Né sono sicuro che possa essere  facilmente evitato, a meno che non controbilanciamo il nostro zelo per la teologia biblica integrandola con altre fonti (come la teologia sistematica, la teologia morale e l’eredità confessionale della Chiesa).

Darei ben volentieri questo libro a qualsiasi predicatore. Ma lo includerei in un pacchetto con libri come The Imperative of Preaching (L’imperativo della predicazione) di John Carrick e Imitating God in Christ (L’imitare Dio in Cristo) di Jason Hood, che controbilanciano la prospettiva biblico-teologica.

Quindi, quando si parla di predicazione, questo libro (questo non sorprende) non basta. Tuttavia, è chiaro che esso non tratti principalmente la predicazione, ma la teologia biblica. E poiché tratta l’argomento in modo chiaro e sintetico merita di essere letto da tutti coloro che desiderano una migliore comprensione della Parola di Dio.


Articolo apparso originariamente in lingua inglese su The Gospel Coalition.

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