Avete provato ad evitarlo a lungo, ma alla fine è successo. Domenica scorsa vi siete trovati seduti di fianco a quella famiglia della chiesa con due bambini molto vivaci, che non sembrano trovare pace in nessuno dei passatempi che i loro genitori disperatamente offrono loro. Per colpa di quel brusio e di quel continuo agitarsi su e giù dalle sedie non riuscite a concentrarvi durante la lode e la predicazione.
In tutta onestà, vi chiedete: “Ma è davvero il caso che i bambini partecipino con gli adulti agli incontri comunitari? Avranno anche bisogno di istruzione, ma davvero noi abbiamo bisogno di loro? Può davvero essere questo ciò che Dio vuole per la sua chiesa?”.
La risposta breve, biblicamente, è: Sì.
Due estremi
La risposta lunga è che la nostra società si muove fra due tendenze opposte, riguardo ai bambini. Da una parte, i bambini sono implicitamente considerati una enorme seccatura, e la genitorialità il più grande ostacolo per la realizzazione personale. Dall’altra, dai reel su Instagram e da molti film mainstream deriviamo una certa rappresentazione stereotipata dei bambini come esseri angelici e paffuti, docili e innocenti, che lasciano gli adulti vivere la loro vita limitandosi a inframmezzarla con frasi significative o gesti comici.
C’è un fondo di verità in entrambe queste prospettive, è chiaro. Sarà difficile diventare il CEO di McDonald’s se si passano tre ore al giorno a fare i compiti con i propri figli. E, certo, i bambini sono buffi, teneri e affettuosi (spesso). Ma ciò che ci perdiamo in questo modo è la via di mezzo più realistica e sobria che ci offre il vangelo di Cristo. Gesù non solo ha dei bambini la concezione più accurata e veritiera possibile, ma fa di loro una salvaguardia per la chiesa dall’imborghesimento e una illustrazione della sua chiamata radicale al discepolato. Vediamo come.
La prospettiva biblica sui bambini
Due versetti che condensano buona parte della concezione biblica dei bambini probabilmente sono questi: “Come un padre è pietoso verso i suoi figli, così è pietoso il Signore verso quelli che lo temono. / Poiché egli conosce la nostra natura; egli si ricorda che siamo polvere” (Salmo 103:13-14). I bambini sono fragili. I bambini sono deboli. I bambini hanno bisogno: hanno bisogno di cibo, di istruzioni, di giochi, di aiuto. Fra i loro primi traguardi troviamo, udite udite, usare le posate per mangiare e mettersi le scarpe da soli!
Ma non solo questo: i bambini hanno bisogno di qualcuno che abbia pietà di loro. Perché? Non certo perché sono disciplinati e perfetti, ma proprio per la ragione opposta: perché sono in-disciplinati, in-coerenti, in-opportuni. I bambini sono disordinati e fastidiosi, e per questo hanno bisogno di qualcuno che abbia pietà di loro. Hanno bisogno di un padre e di una madre, i primi, di solito, ad usare loro compassione e ad amarli, sempre, fino in fondo.
La prospettiva biblica su di noi
Ma questo versetto non descrive solo i bambini: descrive anche come siamo noi! Se Dio è per quelli che lo temono ciò che un padre è per i suoi figli, allora noi siamo, rispetto a Dio, ciò che i bambini sono rispetto ai genitori e agli adulti in generale. Esattamente: noi siamo indisciplinati, incoerenti e inopportuni! Noi siamo ribelli e infantili, sciocchi e testardi, fin dalla caduta. Anche se non ci piace sentircelo dire, siamo ciechi ed erranti, e abbiamo bisogno di qualcuno che abbia compassione di noi: Jahvè, il Signore.
I bambini sono disordinati e fastidiosi, e per questo hanno bisogno di qualcuno che abbia pietà di loro.
Il nostro rifiuto di accettare questa diagnosi divina, poi, si traduce nel nostro rifiuto del Messia. In Matteo 11:1-24, Gesù rimprovera l’incredulità di “questa generazione” (v. 16); ma come mai è così difficile accettare che sia Gesù “colui che deve venire” (v. 3)? La risposta è nei versetti seguenti (25-30): chi si aspettava un Messia grandioso, in linea con la propria presunta sapienza e intelligenza, non può che rimanere deluso da un Messia “mansueto e umile di cuore” (v. 29). Il Padre ha scelto di rivelare il suo “piccolo” Messia solo ai “piccoli” (v. 25), a chi sa di essere solo un bambino davanti a Dio – e tutti gli altri rimarranno a bocca asciutta.
Seguire il Primo e l’Ultimo
Questo è il nostro Dio. Il Dio altissimo, il Signore che esiste da prima che si iniziassero a contare i millenni, quando diventa uomo, si presenta come servo invece che come padrone – ultimo, invece che primo. Ai discepoli che gli chiedono: “Chi è dunque il più grande nel regno dei cieli?” (Matteo 18:1), egli risponde che la corsia preferenziale per accedere al Regno è riservata a chi è diventato come un bambino.
Il Dio che ha sempre preso le parti delle vedove e degli orfani – di quelli che, in una società, non servono a niente – conferma, anche in Cristo, che i primi nel suo regno non sono i ricchi, i laureati, le famiglie del Mulino Bianco, ma gli eunuchi (Matteo 19:1-12), i bambini (vv. 13-15), i poveri (vv. 16-30). I discepoli del Primo che si è fatto Ultimo non possono che apparire ultimi nella società. I più grandi di quel mondo sono quelli disposti a lasciarsi considerare imbarazzanti, superflui, o emarginati in questo mondo, “a motivo del regno dei cieli” (v. 12) e per amore di Cristo (v. 29).
Una cura per l’orgoglio
Forse non ci sono molte giovani vedove con figli, nella nostra chiesa. Forse non ospitiamo profughi, lavavetri abusivi o donne in prostituzione ad ogni agape. Ma quasi sicuramente abbiamo ogni settimana un bel gruppetto di “ultimi” a portata di mano, magari proprio seduti di fianco a noi: i bambini.
I discepoli del Primo che si è fatto Ultimo non possono che apparire ultimi nella società. I più grandi di quel mondo sono quelli disposti a lasciarsi considerare imbarazzanti, superflui, o emarginati in questo mondo
Potremmo essere tentati di allontanarli dal culto comunitario perché sono fuori luogo e il loro contributo è inutile; dovremmo invece identificarci in loro, perché agli occhi del mondo, in quanto discepoli di un falegname crocifisso, siamo considerati alla stessa stregua: siamo fuori luogo e il nostro contributo è inutile (cfr. 1 Corinzi 1:26-29). Potremmo guardarli con sufficienza pensando che non sanno come ci si comporta alla presenza di Dio; dovremmo invece osservarli attentamente e imitarli (cfr. Marco 10:14-15).
Alla fine, invece di essere noi adulti un rimedio o un presidio per i bambini, scopriamo che, quando si tratta di seguire Gesù, sono i bambini a costituire una cura per una chiesa facilmente troppo piena di sé.
Certo, i nostri bambini in chiesa hanno bisogno di noi! Istruiamoli, guidiamoli, amiamoli! Ma più rifletteremo sul vangelo di Cristo, più scopriremo che, molto più spesso, siamo noi ad avere bisogno di loro.
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