Le seguenti citazioni sono tratte dal nuovo libro di Tony Reinke, 12 Ways Your Phone Is Changing You (Crossway, 2017)1. In modo piuttosto appropriato, Tony ha ispirato l’idea delle 20 citazioni.
Sebbene sia in arrivo una recensione completa di TGC, colgo l’occasione per affermare che il libro di Reinke riesce a far sentire in colpa e dare speranza allo stesso tempo. Ciò che apprezzo del libro di Reinke è che non si limita a fornire una lista di comportamenti da cambiare, ma un intero approccio, una visione del mondo, da stabilire. Vuole aiutare i cristiani a essere consapevoli, attenti agli altri e intenzionati a onorare Dio nell’uso degli smartphone, anziché farsi usare (dominare?) da essi. Reinke non solo è ben informato sulle ultime ricerche (guardate le note a piè di pagina), ma fonda tutto ciò che fa sulla verità senza tempo della rivelazione di Dio. Credo sia giusto concepire questo libro come una teologia biblica della tecnologia. Se sei come me e ti senti spesso in colpa per come usi il tuo smartphone, allora compra questo libro. So che ti sarà utile.
“Dobbiamo tutti fermarci a riflettere sulle nostre abitudini impulsive riguardo agli smartphone perché, in un’epoca in cui i nostri occhi e i nostri cuori sono catturati dall’ultimo gadget luccicante, abbiamo bisogno di maggiore, non di minore, autocritica […]. La nostra libertà personale dall’uso improprio della tecnologia si misura con la nostra capacità di criticarla in modo ponderato e di limitare ciò che ci aspettiamo che faccia nella nostra vita. La nostra schiavitù nei confronti della tecnologia si misura con la nostra incapacità di criticare in modo ponderato noi stessi. Che cosa ci guadagna un uomo se ottiene tutti gli ultimi dispositivi digitali e tutte le tecniche per padroneggiare il touch-screen, ma perde la propria anima? Siamo abbastanza coraggiosi da chiedercelo?” (23, 194)
“Troppo spesso ciò che il mio telefono porta alla luce in me non sono i santi desideri di ciò che so che dovrei volere, nemmeno ciò che penso di volere, e soprattutto non ciò che voglio tu pensi che io voglia. Lo schermo del mio telefono rivela con pixel nitidissimi ciò che il mio cuore vuole veramente. Lo schermo luminoso del mio telefono proietta nei miei occhi i desideri e gli amori che vivono negli angoli più remoti del mio cuore e della mia anima, sotto forma di immagini, video e testi che posso vedere, consumare, digitare e condividere. Ciò significa che qualsiasi cosa accada sul mio smartphone, specialmente dietro la maschera dell’anonimato, è la vera messa a nudo del mio cuore, riflessa in pixel a pieni colori nei miei occhi.” (26-7)
La massima filosofica “Penso, quindi sono” è stata sostituita dal motto digitale “Mi connetto, quindi sono”, che porta a un desiderio di status: “Piaccio, quindi sono”. Ma le nostre connessioni digitali e le spunte di approvazione sono pixel tremolanti che non possono essere il fondamento del senso della nostra vita. Eppure, cerco di soddisfare questo desiderio ogni volta che mi metto comodo sullo sgabello di Facebook, per essere dove ogni amico conosce il mio nome, dove la mia presenza può essere affermata e riaffermata in tappe virtuali durante tutta la giornata. Voglio qualsiasi cosa che possa spezzare il silenzio che mi fa sentire il peso della mia mortalità […] . Niente mette nel loro giusto contesto i social media e le abitudini con gli smartphone come la cruda realtà della nostra mortalità. Lascia decantare questa verità per un po’. Percepisci la brevità della vita, e questo ti renderà pienamente vivo”. (46)
“Per coloro che hanno occhi per vedere, il ritorno di Cristo è così imminente da svuotare la nostra vita da tutto ciò che è superficiale e da rendere irrilevanti tutte le nostre vane distrazioni. Per dirla in altro modo, la nostra battaglia contro le ingombranti distrazioni di questo mondo – specialmente quelle inutili dei nostri telefoni – è una guerra del cuore che possiamo condurre solo se i nostri affetti sono fissati saldamente sulla gloria di Cristo. La risposta al nostro ipercinetico mondo digitale fatto di diversivi è il sedativo dello splendore di Cristo, visto con la mente e goduto dall’anima. La bellezza di Cristo ci calma e radica i nostri desideri più profondi in speranze eterne che vanno ben oltre ciò che i nostri smartphone potranno mai sperare di offrire.” (50)
“Nell’era degli smartphone, siamo bombardati quotidianamente dall’immediato: aggiornamenti su Facebook, post sui blog e notizie dell’ultima ora. Eppure il libro più importante per la nostra anima è antico. La Parola di Dio richiede i più alti livelli di concentrazione letteraria perché richiede una lettura relazionale: non le chiacchiere superficiali di un cocktail party, ma il raccoglimento e l’impegno che caratterizzano i voti matrimoniali. La Parola di Dio è un invito a orientare i nostri affetti e i nostri desideri. La nostra sfida è usare i social media al servizio di una lettura seria”. (89)
“Non possiamo sopprimere la brama di ciò che è maestoso che è nella nostra anima. L’obiettivo non è quello di disattivare tutte le applicazioni dello smartphone, ma di nutrirci con i media giusti. Siamo stati creati per contemplare, vedere, gustare e gioire nella ricchezza della gloria di Dio – e questa gloria spesso ci arriva rifratta, attraverso le creazioni di abili artisti. Il nostro insaziabile desiderio di video virali, meme e tweet è il prodotto del desiderio di gloria che Dio ci ha dato. Ed egli ha creato un mondo di meraviglie mediatiche affinché possiamo deliziarci, ricevere e apprezzare tutto ciò che è vero, onorevole, giusto, puro, bello, lodevole, eccellente o degno di lode. Questo ci terrà molto occupati a meravigliarci delle Scritture, della natura e della grazia di Dio nelle persone che ha creato”. (100)
“Siamo dei composti, fatti dalle persone a cui vogliamo conformarci e questo conformismo costituisce una delle più potenti attrattive dei nostri smartphone. La tecnologia digitale ora accelera e particolarizza la nostra ricerca di appartenenza.” (111)
“Che lo vediamo o meno, l’adorazione è la dinamica fondamentale del nostro modo di essere. È per questo che, per quanto siamo fieramente indipendenti, non troviamo mai la nostra identità in noi stessi. Dobbiamo sempre guardare al di fuori di noi stessi per trovare la nostra identità, al nostro gruppo e ai nostri amori. Entrambe queste dinamiche rivelano la verità: stiamo diventando come ciò che vediamo. Diventiamo come ciò che veneriamo. O, per dirla direttamente con la terminologia di Facebook, diventiamo come ciò che ci piace“. (112)
“Lo smartphone sta provocando un’inversione sociale: il desiderio di essere soli in pubblico ma mai soli con noi stessi. Abbiamo la possibilità di essere protetti in pubblico e circondati in solitudine, il che significa che possiamo sfuggire all’imbarazzo dell’interazione umana per strada e alla noia della solitudine nelle nostre case. O almeno così pensiamo”. (124)
“Online, quello che mostriamo è una versione personale delle nostre vite, e raramente la nostra interpretazione viene messa in discussione. Di persona, invece, le nostre interpretazioni possono essere respinte, messe in discussione e contestate, tutto per il nostro bene. L’attrito è la strada per una genuina autenticità, e nessuna comunicazione online può superare la mancanza di una vera integrità. Dobbiamo essere veraci con le persone che Dio mette nella nostra vita. Dobbiamo dire la verità. Dobbiamo essere onesti a scuola. Dobbiamo essere saggi con i nostri soldi. Dobbiamo essere amici fidati. Dobbiamo essere affidabili sul lavoro. Il mondo ha bisogno di ciò che dobbiamo essere: uomini e donne incentrati su Dio, gioiosi e degni di fiducia. Non siamo impeccabili; siamo pentiti caduti che hanno bisogno di attriti relazionali per crescere e maturare. Siamo autentici credenti che si impegnano a sostituire le relazioni facili con quelle autentiche […]. L’autenticità faccia a faccia è la chiave per l’empatia, l’umiltà e la fiducia nelle nostre relazioni, e queste sono competenze di cui tutti abbiamo bisogno”. (125-6)
“La tecnologia […] ci fa pensare di poter indulgere in vizi anonimi, anche solo concettualmente, senza alcuna conseguenza futura. L’anonimato è il luogo in cui fiorisce il peccato e l’anonimato è la menzogna più pervasiva dell’era digitale. I nostri clic rivelano le motivazioni oscure dei nostri cuori, e ogni peccato – ogni doppio tocco e ogni clic – sarà tenuto in conto […]. Nessuna dipendenza presente nella nostra vita è nascosta agli occhi di Dio. Il nostro Creatore non rispetta le leggi sulla privacy. La sua onnipresenza manda in frantumi il miraggio dell’anonimato che spinge tante persone a rivolgersi ai loro telefoni e a pensare di poter peccare e indulgere senza conseguenze”. (133-4)
“Il consumismo digitale è direttamente in contrasto con molte delle convinzioni fondamentali del vangelo. L’autenticità spirituale si misura con la fede nella verità invisibile di Dio, non con la fiducia nei beni di consumo visibili della nostra epoca.” (138)
“Per vivere una vita abbondante in questa insaziabile società di consumo, dobbiamo implorare in preghiera di ricevere il potere datoci da Dio di distogliere lo sguardo dai giga di spazzatura digitale offerti senza sosta dai nostri telefoni e sintonizzare le nostre orecchie per ascoltare gli echi sublimi di un eterno incanto per le bellezze trascendentali che ‘vediamo’ nelle Scritture.” (144)
Che si tratti di una “notizia dell’ultima ora”, di una richiesta di direct-message, di un sms o di un’app di notizie, i nostri telefoni rendono le nostre vite vulnerabili all’immediatezza del momento in un modo sconosciuto a tutte le generazioni e culture precedenti. I social media e l’accesso al web sui nostri telefoni portano nelle nostre vite l’immediatezza degli eventi di tutto il mondo. Di conseguenza, soffriamo di neomania, una dipendenza da tutto ciò che è nuovo negli ultimi cinque minuti”. (148)
“La mancanza di autocontrollo sul volume di dati ingeriti introduce un peso che il nostro corpo fisico non può sopportare […]. Per grazia, siamo liberi di chiudere le nostre fonti di notizie, di chiudere le nostre app motivazionali, e di spegnere i nostri telefoni per poter semplicemente banchettare in presenza dei nostri amici e godere dei nostri coniugi e delle nostre famiglie nel mistero, nella maestosità e nello ‘spessore’ dell’esistenza umana”. (150, 151).
“Il mio desiderio di non essere mai escluso socialmente ha un prezzo: i bip, i ping e gli infiniti aggiornamenti dei feed. Controllo costantemente il mio telefono per assicurarmi di non perdermi nulla. Ma anche gli altri pagano un prezzo per la mia cosiddetta ‘rilevanza’”. (154)
“La FOMO (fear of missing out, ovvero la paura di essere tagliati fuori, N.d.T.) non è né unica né moderna. È precedente all’acronimo coniato nel 2004, è precedente al WiFi e ai nostri smartphone. La FOMO è una fobia antica, con una storia che risale a molto prima che iniziassimo a usare il pollice opponibile per mandarci messaggi di gossip. Possiamo dire che la FOMO è la paura primordiale dell’uomo, la prima paura alimentata nei nostri cuori quando un serpente strisciante accennò dolcemente a un’opportunità irripetibile che si rivelò troppo bella per poter essere persa. Mangia dall’unico albero proibito, Eva, “e sarai come Dio”. Cosa potevano desiderare di più Eva e Adamo? Sfuggire alla creaturalità, diventare padroni di se stessi, conservare la propria indipendenza, definire la propria verità, diventare onniscienti e godere di una regalità autonoma. Avrebbero potuto tenere per sé tutta la gloria diventando dei e dee! Chi potrebbe rifiutare l’irresistibile possibilità di diventare dio in un sol boccone? Queste parole, questa bugia, erano cariche di una promessa succulenta troppo bella per essere vera. Era una falsa lusinga. Era il tentativo di Satana di detronizzare Dio, trasformando le parole in un’insurrezione dei portatori dell’immagine di Dio. In altre parole, la FOMO è stata la prima tattica di Satana per sabotare la nostra relazione con Dio, e ha funzionato. E continua a funzionare”. (158)
“In un’epoca in cui chiunque abbia uno smartphone può pubblicare falsitá su chiunque, dobbiamo sapere che diffondere messaggi contraddittori, con l’intento di provocare ostilità senza alcun desiderio di risoluzione, è ciò che il mondo chiama ‘trolling’ e ciò che il Nuovo Testamento chiama ‘calunnia.”(166)
“La nostra bramosia per i fallimenti degli altri precede di molto i social media. Trovare difetti è un passatempo antico, destinato a sostenere una facciata di importanza personale, anche tra i cristiani. La ricerca dell’errore distrugge il nostro amore per gli altri. La ricerca dell’errore è in opposizione al Calvario. In Cristo, i nostri peccati perdonati sono stati gettati in una tomba, ma il calunniatore continua ad andare di notte a riesumare i peccati del suo prossimo per trascinare quelle offese in decomposizione di nuovo alla luce, nella piazza della città”. (169-70)
“Diventiamo emotivamente distanti con le nostre espressioni. Ci accontentiamo di fare ‘LOL’ con i pollici o di piangere lacrime con emoticon per esprimere il nostro dolore, perché non possiamo (e non vogliamo) prenderci il tempo di investire veramente in vere lacrime di dolore. Usiamo i nostri telefoni per gestire le nostre diverse emozioni su più fronti contemporaneamente. Nell’era dello smartphone, cerchiamo di sfuggire alle emozioni e allo stesso tempo cerchiamo di “soddisfare il bisogno di contatto con la droga dell’attenzione perpetua”. Questa contrapposizione, per forza di cose, ci rende ampiamente connessi ma emotivamente superficiali”. (179)
Il libro è stato pubblicato in italiano da ADI Media. Il presente articolo consiste in una traduzione originale e non ufficiale del team editoriale TGCi.