Prima di Costantino, i primi cristiani erano fortemente perseguitati per il loro essere troppo esclusivi, strani e di vedute ristrette, e allo stesso tempo stavano crescendo rapidamente, specialmente nei centri urbani (si veda, ad esempio, il capitolo di Alan Kreider “The Improbable Growth of the Church” in The Patient Ferment of the Early Church).
Questo è stato definito un efficace “incontro missionario” con la società romana. C’erano sia offesa che attrazione, sia confronto che persuasione. Il cristianesimo non si è adattato alla cultura per guadagnare più adepti, ma non è nemmeno rimasto un piccolo gruppo chiuso. Il cristianesimo ha affrontato e criticato la cultura, e i credenti hanno sofferto per questo, ma la fede ha anche convinto molti, attirando ogni giorno un numero crescente di convertiti.
Che cosa possiamo imparare dalla chiesa primitiva?
È abbastanza evidente che nelle società occidentali i cristiani siano tuttora visti come troppo esclusivi e di vedute ristrette, e che anche loro potrebbero presto venire esclusi da molti lavori governativi, accademici e aziendali, ed essere emarginati socialmente in vari altri modi.
Cosa possiamo imparare dalla chiesa primitiva così da poter avere anche noi il nostro incontro missionario efficace?
In primo luogo dobbiamo evitare di pensare che una testimonianza fedele significhi o una crescita rapida ed esplosiva (qualora si ottenesse la giusta formula del ministero) o un declino duraturo che non abbia né frutti né impatto. 1 Pietro 2:11–12 ci fornisce un breve riassunto della dinamica missionaria originale quando ci dice, in una frase, che alcuni al di fuori della chiesa li accusavano e li perseguitavano, mentre altri vedevano le loro buone azioni e glorificavano Dio.
In secondo luogo dobbiamo evitare sia l’assimilazione che il troppo rigore. C’è infatti chi, pur di attirare migliaia di persone, minimizza gli aspetti più offensivi ed esigenti del cristianesimo. Ma ci sono anche quelli che insistono sul fatto che qualsiasi sforzo fatto per adattare le nostre presentazioni evangelistiche a particolari errori o aspirazioni culturali sia sbagliato. Eppure Gregorio di Nissa, nel prologo de La Grande Catechesi, insisteva sul fatto che non fosse possibile conquistare un politeista e un ebreo utilizzando gli stessi argomenti. È bensì necessario inquadrare la propria esposizione del vangelo in modo diverso per ogni casistica. Ed è così che dovremmo fare.
Ecco cinque elementi che potremmo includere nei nostri incontri missionari.
1. Un’apologetica pubblica, sia essa più alta o più semplice.
La chiesa primitiva sviluppò un’efficace apologetica pubblica (si pensi, ad esempio, al martire Giustino, a Tertulliano, a Origene, all’autore dell’epistola a Diogneto e ad Agostino). Non dobbiamo presentare un’apologetica che sia puramente razionale: deve essere anche culturale. Agostino sviluppò un’“Alta Teoria” critica della cultura pagana. Difese gli aspetti esclusivi del credo cristiano in questo modo: “Le nostre convinzioni e le nostre vite non indeboliscono in alcun modo il tessuto sociale, piuttosto lo rafforzano. Infatti non avrete mai la società che desiderate se manterrete il vostro politeismo”.
Ma oltre alla teoria critica di alto livello, ci deve anche essere un’apologetica più semplice. Dobbiamo mostrare come non sia possibile, per la cultura secolare, mantenere le principali promesse che vengono fatte riguardo al valore, alla soddisfazione, alla libertà e all’identità. Abbiamo bisogno di un’esplosione di apologetica “memoriale”: storie piene di riflessioni, alla portata di tutti e totalmente diverse tra loro, di persone che hanno incontrato Cristo e le cui vite sono state cambiate dal vangelo. Abbiamo anche bisogno di un gran numero di libri che siano alla portata di tutti e che espongano la “logica profonda” alla base della sessualità cristiana. Infine l’apologetica pubblica, in una società post-cristiana, dovrà includere il pubblico pentimento per i fallimenti della chiesa passata e presente.
2. Una controcultura.
Come la chiesa primitiva, dovremmo essere una società alternativa con diverse caratteristiche:
- Dovremmo essere caratterizzati da una sorprendente multietnicità. Il cristianesimo è di gran lunga la religione etnicamente e culturalmente più diversificata al mondo. Questo implica un’enorme credibilità per il cristianesimo. Eppure la chiesa occidentale spesso non sembra multietnica rispetto alla sua cultura. I portavoce pubblici della chiesa dovrebbero provenire dal maggior numero possibile di gruppi razziali diversi.
- Dovremmo essere pionieri nell’essere civili, nel costruire ponti per raggiungere coloro che ci si oppongono. I primi cristiani furono brutalmente perseguitati e messi a morte, eppure la chiesa continuava a predicare il perdono, non la rappresaglia. In nessun luogo in occidente i cristiani si trovano ad affrontare un simile problema, eppure molti rispondono persino alle critiche verbali con disprezzo, contrattaccando con la stessa moneta. I cristiani dovrebbero essere operatori di pace invece di disprezzare chi li critica e “sedersi in compagnia degli schernitori” (Sl 1:1).
- Dovremmo essere famosi per la generosità, la cura dei poveri e l’impegno per la giustizia all’interno della nostra società. La chiesa dovrebbe essere nota come la principale istituzione che opera nell’aiuto di comunità povere ed emarginate per guidarle nella difesa dei propri interessi a livello governativo e lavorativo.
- Dovremmo impegnarci per l’inviolabilità della vita e per essere una controcultura in ambito sessuale. La chiesa oggi non deve solamente mantenere la tradizionale etica sessuale tra la sua stessa gente, ma deve anche imparare a contestare le false narrazioni culturali che stanno alla base della pratica e della visione del sesso nella nostra società contemporanea.
3. Una presenza fedele nel lavoro.
La chiesa contemporanea deve dotare i cristiani di una dottrina vocazionale così da renderli in grado di integrare la loro fede nel loro lavoro. Questa “presenza fedele” nei diversi ambiti professionali aiuterebbe, tra le altre cose, a raggiungere una riforma del capitalismo (ristabilendo la fiducia nei mercati finanziari attraverso l’autoregolamentazione), una riforma della politica (ripristinando non solo il centrismo, ma anche il bipartitismo) e una riforma dell’accademia, dei media, delle arti e della tecnologia (per comprendere meglio il significato di “presenza fedele”, si veda To Change the World di James Davison Hunter e l’eBook di TGC¨ad esso collegato).
4. Una posizione e un approccio evangelistici.
Non esiste una presentazione evangelistica che si adatti perfettamente ad ogni cultura, poiché ogni cultura ha bisogno che i concetti basilari di peccato e salvezza siano comunicati in modo comprensibile. Il vangelo si collega ad altre religioni e visioni del mondo per mezzo di una “soddisfazione sovversiva”: il vangelo soddisfa cioè le aspirazioni più profonde della cultura, ma solo contraddicendo i mezzi distorti e idolatri che il mondo adotta per appagarle.
La chiesa contemporanea deve scoprire i diversi modi utili a presentare il vangelo alla nostra cultura e ai suoi diversi sottogruppi, e non solo attraverso la predicazione, ma anche attraverso la comprensione da parte di ogni cristiano su come rendere pubblica la sua fede nei suoi percorsi di vita (per approfondire i modi utilizzati dalla chiesa primitiva per evangelizzare, si veda di Michael Green Evangelism in the Early Church, e, dello stesso autore, Evangelism through the Local Church per considerare cosa sia possibile fare oggi).
5. La formazione cristiana nell’era digitale.
La chiesa primitiva formava le persone per essere cristiani zelanti in mezzo a una cultura pagana. I suoi membri avevano priorità nettamente diverse riguardo al denaro, al sesso è a molte altre cose. Alan Kreider fa notare che i primi cristiani raggiunsero questi tratti distintivi grazie a fino tre anni di formazione catechistica, tramite la forza della loro comunità e delle loro relazioni, e grazie infine ad una ricca adorazione.
La chiesa, ai nostri giorni, deve affrontare la stessa sfida. In mezzo ad una cultura laica con i suoi valori (ad esempio, il “devi essere onesto con te stesso”, “devi fare ciò che ti rende felice”, “nessuno ha il diritto di dire a qualcun altro come deve vivere”), in che modo possiamo formare cristiani che siano modellati in primo luogo dalla narrativa biblica? Ma, rispetto alla chiesa primitiva, dobbiamo affrontare anche qualcosa di diverso: la tecnologia della comunicazione. Nell’era digitale una persona può assorbire ogni giorno migliaia di parole e centinaia di idee che possono minare il potere di ciò che accade nelle interazioni faccia a faccia. In una situazione come questa, come possiamo formare persone che siano distintamente cristiane?
Ciò comporterà, come minimo: (a) nuovi strumenti di catechesi ideati per presentare tutte le basi della verità cristiana in modo che siano in netto contrasto con quanto viene insegnato nella cultura tardo-moderna (ad es.: “L’hai sentito dire, ma io ti dico…”); (b) adorazione che unisca gli antichi modelli liturgici alla cultura moderna; (c) un largo utilizzo delle arti per raccontare in storie la storia cristiana; (d) la formazione teologica sia dei ministri che dei leader laici per portare avanti questo tipo di pratiche formative (per informazioni sulla formazione cristiana, si vedano You Are What You Love di James K. A. Smith e la sua serie sulle liturgie culturali, nonché il New City Catechism).
Nota del redattore: questo articolo è comparso nel Reedemer Report.